A sessant’anni da quel 25 gennaio 1959, quando Papa Giovanni XXIII diede al mondo l’annuncio del Concilio Ecumenico Vaticano II, prende vita il sito www.lorisfrancescocapovilla.it, che raccoglierà scritti, documenti e altro materiale riguardante la vita e l’opera del Cardinale Loris Francesco Capovilla. Di lui sono stato e continuo ad essere (come lui diceva anche di sé, rispetto a Papa Giovanni) segretario, ‘contubernale’ ed anche erede universale, che mi permette, se posso dire così, di parlare a nome suo, fiducioso di interpretarne il pensiero. Vi rimando alla sezione Card. Capovilla. Disposizioni testamentarie. Grazie a quanti si soffermeranno a leggere. Ivan Bastoni
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1915 14 ottobre 2024
109 esimo compleanno
Caro Padre, a volte mi domando se non sia un po’ patetico scriverle delle lettere indirizzandole direttamente a lei se non nella speranza che ci possa essere un collegamento tra il visibile e l’invisibile. Il vero credente non ha dubbi, io mi definisco invece come lei sa bene uno sperante.
Non avevo idea di cosa scrivere precisamente per farle un augurio per questo giorno che era un continuo di telefonate. Dopo di lei ho imparato la malinconia della sua mancanza, il silenzio della gente che ovviamente veniva per lei ed anche la solitudine di quanti si professavano amici anche miei. Pochi sono rimasti ma sono solidi e siamo sempre in contatto come quando lei era fisicamente tra noi.
come dicevo non avevo idea di che tema trattare ed ho sfogliato questo libro che ha una sua dedica in prima pagina e mi sono detto.. un bel monito per farmi rimettere più duramente al lavoro e continuare a riportare su carta alcuni suoi pensieri.
A proposito della malinconia e della solitudine ricordo una lettere nel giorno del suo anniversario episcopale. dove diceva che per tutto il giorno silenzio, solo poche persone…. una di queste è ancora amico vero, amico fedele a lei e a me. Non scriverò il nome che comparirà nelle prossime pubblicazioni ma di certo non aveva sbagliato quando mi aveva detto di fidarmi di lui. Uno che non è parente né suo né di Papa Giovanni, ma uomo tutto d’un pezzo, un vero amico.
La ringrazio per la fiducia nel raccogliere le sue tracce, pensieri, documenti e spero di poter continuare nel tempo a diffondere qualche notizia, storia, racconti, diari, che possano portare curiosità non solo sulla figura universale di Papa Giovanni ma anche sulla sua, per la quale molti hanno una venerazione sincera. Nulla vada perduto è un obbligo morale nei suoi confronti che spero di portare avanti sino a quando potrò.
Buon Compleanno Padre, con affetto suo ivan
A Ivan “raccoglitore di spighe perché nulla vada perduto con riconoscenza +Loris F. Capovilla 14. X. 2015
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Lo stesso sentimento l’ho provato quando a mezzogiorno di due anni fa il Papa Francesco ha fatto i nomi [dei nuovi cardinali]. Io ho ascoltato stando seduto; ero solo qui, ho ascoltato in silenzio e non ho immaginato niente. È saltato fuori il mio nome e ho continuato a mangiare il boccone che mi è sceso lo stesso; poi ho pensato e l’ho detto subito (e so di aver fatto piacere a tanti bravi e umili sacerdoti): il Papa elevando me al rango di cardinale di Santa Romana Chiesa ha inteso elevare tutti coloro – sacerdoti o missionari – che in tutto il mondo hanno vissuto una vita di povertà, castità ed obbedienza. Umili e obbedienti, umili e servitori del loro popolo. Hanno avuto la stima del popolo, hanno avuto magari anche dei funerali solenni col pianto di tanti e tanti fedeli, ma non hanno avuto niente altro, non sono stati fatti né cavalieri della Repubblica, né monsignori della Santa Sede. Con la loro tunica sdrucita e nera sono scesi nel sepolcro, e così sono ricordati[2].
UN FIORE E NIENTE PIÙ
«Un fiore sulla tomba»: sono tra le ultime parole dette dal cardinal Capovilla quel 16 maggio 2016, parole rimaste impresse nella memoria dei pochi che erano presenti nella sua stanza di ospedale[3]. Quasi un suggerimento su come avremmo dovuto ricordarlo, nell’imminenza di una fine di cui aveva piena coscienza e che viveva cum timore et tremore – con timore e trepidazione – per l’avvicinarsi a un passaggio misterioso verso l’eterno. Anche in quel momento, fisicamente stremato dopo i lunghi giorni di malattia, la semplicità dell’uomo che non voleva clamori è emersa con forza. «Sono nato nel silenzio e in silenzio voglio andarmene», ha ripetuto più volte. Un fiore e niente più.
A otto anni dalla morte,vorrei ricordare monsignor Capovilla raccontando un semplice episodio di vita. Nel mese di aprile, quando era già ricoverato, aveva espresso il desiderio di riascoltare una vecchia canzone che non sentiva da molti anni, impressa però nel suo animo per la dolcezza delle parole, Lili Marlen, nella versione cantata da Lina Termini:
Tutte le sere
sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò,
e tutto il mondo scorderò.
Con te Lili Marlen,
con te Lili Marlen
Prendi una rosa
da tener sul cuor… [4].
Dopo aver ascoltato le strofe iniziali, con voce rotta dalla commozione (e ogni parola già gli costava fatica) disse: «Che bello! Il ragazzo che aspetta con un fiore la sua innamorata, che bello…», e mentre lo diceva alzava la mano destra quasi come se tenesse un fiore in mano: chi ha conosciuto monsignor Capovilla sa di cosa parlo, di quale mimica, contenuta ma efficacissima, fosse capace.
In queste poche parole, pronunciate alla fine della vita, si esprimeva tutta la sua sensibilità nel capire e valorizzare l’amore tra un uomo e una donna: un amore puro, che sapeva sconfiggere per un attimo anche gli orrori della guerra. Orrori e malinconie che lui stesso aveva conosciuto molto bene fin da bambino. Sapeva far suoi i sentimenti, le gioie e le sofferenze della gente. Potrebbe valere anche in questo caso l’espressione usata dal cardinal Montini per Papa Giovanni: «Sapeva toglierti l’affanno dall’animo».
«… E, POCO DISCOSTO, UNA FANCIULLA
CHE EGLI SENTE DI AMARE»
Dove aveva udito per la prima volta questa canzone? Probabilmente l’aveva ascoltata più volte tra gli avieri dell’aeroporto militare di Parma, dove il giovane don Loris fu cappellano dal dicembre 1942 fino all’8 settembre del ’43. La canzone del soldato che, fuori dalla caserma, attende con ansia la sua fidanzata per l’ultimo incontro prima della partenza per il fronte, era divenuta popolare tra i soldati di ogni bandiera, affratellandoli, anche se le autorità tedesche avevano tentato di osteggiarne la diffusione radiofonica, ritenendola di tono implicitamente disfattista; per converso i comandi alleati la ritenevano troppo ‘tedesca’.
Monsignor Capovilla era ben capace di comprendere l’amore di due giovani, lui che da sacerdote certo non aveva potuto sperimentare questo sentimento: ma ne capiva la purezza e la profondità, elevandolo quasi a preghiera verso Dio. Con tratti di grande delicatezza, il tema della giovinezza cristiana, dell’amore tra un uomo e una donna e della vocazione a formare una famiglia ricorre in molti suoi scritti, per esempio in questo ritratto di un giovane aviere vergato in una notte dell’agosto del 1943, mentre suonavano le sirene per l’allarme aereo:
Rivedo il primo incontro. Eccolo nel mio ufficio e mi siede di fronte. Parlo per scandagliarne l’anima. Ci vuole tanto poco. È un libro aperto, questo figliolo. Non ha detto che poche parole e io ho letto la trama delicata della sua giovinezza, e la luce interiore che lo rende amabile mi si è disvelata.
[…]. Lassù, in un paesello che gli procura momenti di nostalgia, vivono la mamma e, poco discosto, una fanciulla che egli sente di amare.
Il suo è un amore sereno, limpido, sconfinato; giacché non si arresta quaggiù, ma porta a Dio.
[…].Il suo nome?… Esso sta scritto nel libro della vita e io vi stampo sopra la mia sacerdotale benedizione, che pone suggello con la preghiera e con la parola al ventennio di vita per il via alle nuove conquiste.
[asterischi o fogliolina?]
Caro Padre,
il tempo passa inesorabile, scorrono gli anni senza più poter sentire la sua viva voce. Ma con il suo stile e la sua dedizione lei ha lasciato un esempio che cerchiamo di seguire nell’impegno a mantener viva la memoria sua e di Papa Giovanni.
Alla schiera dei compagni di viaggio che ci hanno lasciato, lunedì 15 aprile, a Roma, si è aggiunto purtroppo un nostro caro amico: Carlo Di Cicco. Già vicedirettore dell’Osservatore Romano dal 2007 al 2014 e vicino alla spiritualità di Don Bosco, per tutta la vita si era attivamente impegnato sui temi della pace, della giustizia e del rinnovamento ecclesiale. Nel corso di lunghi anni lei ne ha ben conosciuto la lealtà e la disinteressata amicizia. Anch’io posso confermare la sincerità di Carlo, che ha sempre mantenuto la promessa di starmi vicino negli anni difficili dopo la sua scomparsa.
IVAN BASTONI
Giacomo Manzù, Margherita, 1944, inchiostro su carta, cm 23,5×15, Fondazione Credito Bergamasco, in deposito alla Gamec, Accademia Carrara di Bergamo.
Email: ivan.bastoni@libero.it
www.lorisfrancescocapovilla.it
© diritti riservati
[1] Riprendo qui quanto già scritto nella postfazione a Forzare l’aurora a nascere, Grafica e Arte, Bergamo 2017, p. 215.
[2] Dall’Omelia per il centesimo compleanno, sempre in Forzare l’aurora a nascere, p. 20.
[3] Cfr. il pieghevole del 26 maggio 2017, Il primo anno trascorso accanto a Dio.
[4] Lili Marlen, testo di Hans Leip (1915), musica di Norbert Schultze (1937), tradotta in italiano da Nino Rastelli nel 1943.
2016 26 maggio 2023
settimo anniversario della morte
del Cardinale Loris Francesco Capovilla
Don Loris, in ginocchio davanti a Papa Giovanni come servo fedele , contubernale, leale e instancabile testimone del suo Papa. A mio avviso chi osserva il quadro può pensare a due situazioni: sia che Papa Giovanni stia dando un foglio a monsignore o può essere monsignore che consegna alle mani del papa un libro; credo che molti percepiscano un legame filiale a paterno che si è poi manifestato negli anni per il servizio reso da Capovilla per la testimonianza di monsignore Capovilla.
Olio su tela, Trento Longaretti.
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È il settimo anniversario della morte del Cardinale Loris Francesco Capovilla. A questa ricorrenza se ne affiancano altre due, entrambe particolarmente significative: il sessantesimo dell’enciclica Pacem in terris, promulgata l’11 aprile 1963, e quello della morte di Papa Giovanni XXIII, seguita di lì a poco il 3 giugno 1963.
«Mestizia grande»
Siamo andati a rileggere l’agenda di monsignore Capovilla alla data del 26 maggio di sessant’anni fa. Poche frasi, vergate si può dire presso il capezzale del Papa, in cui si legge il dolore trattenuto di un figlio spirituale che presagisce l’ultimo tratto di vita non solo del Padre suo, ma di tutta la cristianità.
Impressiona l’annotazione delle ore 12: il segretario del Papa riesce quasi a farci sentire accanto a lui, in quello spazio chiuso e silenzioso in cui tutto assume un nuovo valore, alla luce di un passo definitivo. Poche le persone ammesse: il cardinale segretario di stato Amleto Cicognani, il cardinale Angelo Dell’Acqua e suor Angela Roncalli, nipote del papa e figlia di Giovanni Roncalli, a rappresentare gli affetti familiari.
Attento a cogliere gli ultimi gesti e le ultime parole del Papa, Capovilla ci consegna l’immagine di vegliardo che guarda «invano» a quella finestra da cui tante volte si era affacciato. Proprio lui, il 9 novembre 1958, aveva inaugurato la tradizione dell’Angelus domenicale in piazza San Pietro, il suo dialogo paterno con i fedeli e tutti gli uomini di buona volontà. Forse, ora, da quella finestra il Santo Padre avvertiva la presenza dei fedeli sul grande sagrato, ascoltava il suono delle campane di Roma, seguiva il volgere delle ultime giornate segnalato dal variare della luce e dal cadere dell’ultima ombra sui vetri di quella finestra sul mondo.
Come già osservato altre volte, negli scritti di monsignor Capovilla nulla è casuale, anche in appunti come questi che hanno un aspetto di immediatezza e di puro sostegno alla futura memoria, perché nulla andasse disperso della storia di un’anima (quella del Papa, certo; ma di riflesso anche quella del suo segretario), senza alcuna ricercatezza letteraria. Può sembrare incongrua, per esempio, l’aggiunta delle virgolette alla parola finestra, ma forse don Capovilla sentiva di doverne sottolineare l’aspetto simbolico: il suo essere figura della soglia che separa l’esistenza terrena da quella sperata nella fede; un diaframma di luce che separa e insieme unisce la stanza dell’agonia e le «molte stanze» preparate nella dimora del Padre secondo il Vangelo di Giovanni (XIV,2). Questa la pagina di quella giornata:
26 maggio domenica
6.30: Studio del Papa che fa la comunione. Sereno, sollevato. Altra emorragia! Sul primo mattino. card. segretario di stato, poi viene anche Dell’Acqua. Ci accordiamo per un bollettino ufficioso. Non ci sarà il “Regina coeli”.
Ore 20.30
Sr Angela Roncalli. Io riposo un’ora, poi vado alla Grotta di Lourdes. In giardino. Solitudine, serenità, confidenza.
Ore 12: Per la prima volta gli occhi si puntano invano sulla “finestra”. Mestizia grande. Santo Padre dice l’Angelus a letto, poi riposa fino alle 16.
Fiducia in Dio e negli uomini
Vero testamento spirituale – era stata promulgata a meno di due mesi dalla morte – la Pacem in terris voleva indicare con spirito paterno la strada per «costruire un mondo di pace, sempre più saldamente fondato sui quattro pilastri che il beato Giovanni XXIII ha indicato a tutti nella sua storica Enciclica: verità, giustizia, amore e libertà»: così nella giornata per la Pace del 2003 scriveva Giovanni Paolo II. E quella strada Papa Giovanni poteva indicare ai popoli di tutto il mondo perché «era persona chenon temeva il futuro. Lo aiutava in questo atteggiamento di ottimismo quella convinta confidenza in Dio e nell’uomo che gli veniva dal profondo clima di fede in cui era cresciuto. Forte di questo abbandono alla Provvidenza, persino in un contesto che sembrava di permanente conflitto, non esitò a proporre ai leader del suo tempo una visione nuova del mondo. È questa l’eredità che egli ci ha lasciato. Guardando a lui […] siamo invitati ad impegnarci in quei medesimi sentimenti che furono suoi: fiducia in Dio misericordioso e compassionevole, che ci chiama alla fratellanza; fiducia negli uomini e nelle donne del nostro come di ogni altro tempo, a motivo dell’immagine di Dio impressa ugualmente negli animi di tutti. È partendo da questi sentimenti che si può sperare di costruire un mondo di pace sulla terra».
Documento nato dal fuoco che ha avvampato un secolo intero con milioni di morti, il messaggio giovanneo getta una luce anche sul secolo attuale, quando una guerra nel cuore dell’Europa ci ricorda anche i tanti altri conflitti che insanguinano la Terra, verso i quali siamo stati e siamo colpevolmente indifferenti.
Alle molte riflessioni di monsignor Capovilla sulla Pacem in terris l’amico Renzo Salvi ha dedicato un denso articolo apparso sulla rivista La Rocca del primo aprile 2003, in cui ha pubblicato la trascrizione completa di un’intervista per la Radio Vaticana dell’11 febbraio 1983. Il contributo di Salvi serve anche da utile introduzione al documento che segue, preparato per La Discussione, la rivista di riflessione politico-culturale della Democrazia cristiana. Si tratta di un testo di sette pagine dattiloscritte, con poche aggiunte manoscritte, tratto dalla cartella appositamente dedicata all’enciclica giovannea e conservata nell’archivio del Cardinale.
Discussione
9.4.83
1963 11 APRILE 1983
RIFLESSIONI SULL’ENCICLICA PACEM IN TERRIS
Genesi del documento
L’enciclica Pacem in terris compie vent’anni. Essa conserva tutta la freschezza primaverile del suo primo apparire in cena Domini, il giovedì santo dell’anno del Signore 1963.
Sbocciata nel contesto prodigioso del pontificato giovanneo e nel clima favorevole instauratosi a seguito della pubblicazione dell’altro documento sociale, la Mater et Magistra (15 maggio 1961), si è insediata magnificamente nei solchi tracciati dal Concilio Vaticano II.
La sua origine va ricercata tra le righe del discorso Ecclesia Christi lumen gentium (11 settembre 1962), là dove papa Giovanni dissertava sull’ attività della chiesa ad extra, ministero che essendo apostolico la obbliga a far onore alle proprie responsabilità a vantaggio di tutti i popoli: «È da questo senso di responsabilità in faccia ai doveri del cristiano chiamato a vivere uomo tra uomini, cristiano tra cristiani, che quanti al tri, pur non essendolo di fatto, debbono sentirsi eccitati da buon esempio a divenirlo».
Con tutta evidenza, senza invadere campi non suoi, la chiesa affermava di volersi applicare con rinnovato impegno ad «avviare l’uomo sul cammino della verità», essendo verità e libertà «le pietre dell’edificio su cui si estolle la civiltà umana». Nel prosieguo del discorso, il papa toccava liricamente ed efficacemente il tema della pace: «Il Concilio ecumenico sta per adunarsi a diciassette anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la prima volta nella storia, i padri conciliari apparterranno, in realtà, a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi. Le madri e i padri di famiglia detestano la guerra; la chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo dei secoli e da Betlemme, e di là sul Calvario, per effondersi in supplichevole precetto di pace: pace che previene i conflitti delle armi, pace che nel cuore di ciascun uomo deve avere sue radici e garanzia. È naturale che il concilio nella sua struttura dottrinale e nell’azione pastorale voglia esprimere l’anelito dei popoli a percorrere il cammino della Provvidenza segnato a ciascuno, per cooperare al trionfo della pace, a rendere più nobile, più giusta e meritoria per tutti l’esistenza terrena» (DMC, IV pp. 520-528).
La Pacem in terris, ideata dall’urgenza di placare l’angoscia dell’umanità contemporanea, apparve il naturale corollario dell’imprescindibile dovere che ha la chiesa di evangelizzare.
Per analogia citeremo quanto papa Giovanni confidava a proposito della genesi dell’idea del concilio:
«Da un interrogativo posto in un particolare colloquio con il segreta rio di stato procedette la constatazione circa il mondo immerso in gravi angustie ed agitazioni. Rilevammo, tra l’altro, come si proclami di volere la pace e l’accordo, ma, purtroppo, talora si finisce con l’acuire dissidi ed accrescere minacce. Che cosa farà la chiesa? Deve la mistica navicella di Cristo rimanere in balìa dei flutti ed essere sospinta alla deriva, o non è piuttosto da essa che si attende non solo un nuovo monito, ma anche la luce di un grande esempio?» (DMC, IV, p. 258).
La chiesa, che riconosce nel suo Fondatore il «principe della pace», proponeva all’attenzione degli uomini «la teologia della pace», in senso agostiniano, come «tranquillità dell’ordine», come «frutto della giustizia». Conseguentemente il magistero trattava con ampiezza di respiro del retto ordinamento della vita civile cioè dell’ordine politico della giusta e libera convivenza, muovendosi dal fondamento più profondo. Non si accontentava di condannare o ripudiare il ricorso alle armi; voleva rendere inevitabile la pace. Chi non si pone subito in questa prospettiva, passa accanto alla profezia senza capire nulla. Tutte le volte che nell’enciclica legge la parola pace, provi ciascuno a sostituirla con altre parole quali ordine, moralità, convivenza, diritto, sana amministrazione pubblica, giustizia politica, allora tutto diverrà più chiaro ed esaltante.
Crisi di Cuba
I fatti accaduti nel Mar dei Caraibi nell’ottobre 1962, allorquando le due superpotenze si fronteggiavano minacciosamente, ebbero ripercussione sia sui lavori del concilio appena avviati, sia nella determinazione di accelerare la stesura del documento pontificio, interprete del grido accorato fatto echeggiare sotto le volte della Cappella Sistina, sotto lo sguardo di Cristo giudice, all’indomani dell’apertura del Concilio: «La mano sulla coscienza, ascoltino i reggitori dei popoli il grido angoscio- so che da tutti i punti della terra, dai bimbi innocenti e dagli anziani, dai singoli e dalle comunità sale verso il cielo: pace, pace». Il radiomessaggio papale del 25 ottobre giovò alla causa della distensione, come testimoniarono i massimi responsabili delle nazioni, i quali accolsero di buon grado la supplica del papa «a risparmiare all’umanità gli orrori di una guerra di cui nessuno potrebbe prevedere le catastrofiche conseguenze»; «a promuovere, favorire, accettare trattative a tutti i livelli ed in ogni circostanza», essendo questa «la regola di saggezza e di prudenza che attira le benedizioni del cielo e della terra» (DMC, IV, pp. 614-615).
Qualche mese dopo, Nikita Kruscev avrebbe scritto al cancelliere tedesco Adenauer: «Sono comunista e ateo, non posso quindi condividere le concezioni filosofiche del papa, ma il suo appello in favore della pace, lo apprezzo e lo appoggio». Questa disponibilità dei capi di stato alla riflessione incoraggiò indubbiamente l’elaborazione dell’enciclica, e suscitò enorme speranza.
Dissenzienti
Nei giorni scorsi il quotidiano La repubblica ha scritto che io avrei ammesso un certo dissenso in seno alla curia sulla stesura del documento. Non ho detto esattamente questo. Ho affermato che non mancarono perplessità, ma di sicuro non nei diretti collaboratori del papa, e nemmeno negli istituti ecclesiastici superiori, che vennero consultati e diedero efficace apporto alla completezza del documento.
Certo i commenti in vario senso, non del tutto disinteressati, apparsi sulla stampa nei mesi di aprile-maggio 1963 lasciarono indovinare qualche dissenso o riserva nell’area cattolica. A domanda circa difficoltà incontrate da papa Giovanni, rivoltami durante la trasmissione televisiva di Acquario, cinque anni or sono, risposi in modo così poco soddisfacente che il giorno dopo sulla Repubblica apparve il corsivo, stilato da un noto giornalista, intitolato «Credere obbedire omettere». Ci si aspettava che io scivolassi nella polemica. Grazie a Dio, ho imparato che l’unum tra noi, l’unità voluta da Cristo, coesiste nella complessità delle situazioni e nella diversità dei carismi.
Può accadere, pertanto, che in buona fede e in spirito di servizio un documento o un evento ecclesiale abbiano diverse interpretazioni, a motivo delle sfumature esegetiche che alcuni pronunciamenti comportano. Magari accade pure specie nella nostra area latina, che si tenda a politicizzare tutto, sino a valutare un documento dottrinale nell’ottica di particolari contingenze politiche locali. La Pacem in terris ha conosciuto un poco questo dramma. Adesso la «pura dottrina» rivela tutta la sua attualità e la sua capacità di attrazione.
Udienza Adjubei
Son trascorsi vent’anni dal 7 marzo 1963, allorquando Alexis Adjubei, direttore del quotidiano Izvestia e sua moglie Rada Krusciova varcarono la soglia della biblioteca del Papa, per un incontro che meriterebbe di essere catalogato o tra i “fioretti” francescani o tra le più ardite imprese pastorali.
L’episodio, che fece allora tanto scalpore, non è stato ricordato adesso da nessuno. Resta il fatto emblematico di un incontro evangelico, come ho spiegato nel volume: «Giovanni XXIII, Lettere 1958-1963», dove tratto ampiamente questo tema del «colloquio».
Mi accontento di riferire la risposta di papa Giovanni al timido accenno di Adjubei a possibili canali per un contatto diretto su casi concreti quale era stato, un mese prima, la scarcerazione del metropolita Josyf Slipyj, liberato senza condizioni, come gesto di buona volontà e dono al «papa della pace», ma fatto passare attraverso i canali della diplomazia italiana e statunitense e la mediazione del patriarcato di Mosca.
Disse papa Giovanni: «Lei è giornalista. Conosce certo la Bibbia. Vi si legge che il Signore impiegò sei giorni per creare il cielo e la terra. Si tratta, ben inteso, di ere geologiche. Nel primo giorno, la prima parola creatrice: Fiat lux. Così, per oggi, la luce dei miei occhi mei vostri. È già molto. Se è nei disegni dell’Onnipotente, faremo altri passi, ispirandoci al criterio della prudenza, che è la prima delle virtù cardinali, secondo opportune intelligenze coi miei più immediati collaboratori. Iddio ha impiegato sei giorni per creare il mondo; noi che siamo meno potenti di lui dobbiamo apprendere la lezione e procedere per tappe. Senza precipitazione, preparare l’opinione pubblica a questi rispettosi contatti. Attualmente un tale passo non sarebbe compreso. Continuiamo intanto a lavorare alla riconciliazione di tutti i popoli con discrezione e fiducia» (giovanni xxiii, Lettere 1958-1963, Ed. St. e Lett. Roma 1978, p. 455). In questa risposta c’era già il succo della parte quinta della Pacem in terris: la legge della gradualità, il compito immenso, errore ed errante; possibili intese; dottrine e movimenti; respiro ecumenico e missionario.
Rilettura del documento
La rilettura di Pacem in terris si impone, coniugata con le ulteriori illuminazioni magisteriali di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Anzitutto occorre soffermarsi sul paragrafo fondamento, il primo: «La pace anelito profondo degli esseri umani può venire instaurata e consolidata solo nel rispetto dell’ordine stabilito da Dio», poi abbracciare tutto il testo dall’altezza del paragrafo 168, che ne è il coronamento: «La pace rimane solo vuoto suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato ed integrato dalla carità e posto in atto nella libertà».
Nel loro insieme citerei i paragrafi dall’8 al 31, contenenti il codice dei diritti dell’uomo, il decalogo dei comandamenti degli uomini politici: I. Riconoscete a ciascun essere umano il diritto di vivere in dignità. 2. Favoritelo nella ricerca del vero. 3. Consentitegli di onorare Iddio. 4. Rispettate la sua vocazione. 5. Riconoscete il preminente diritto dei genitori all’educazione dei figli. 6. Abolite la disoccupazione. 7. Retribuite con giustizia ed equità. 8. Concedete libertà di associazione. 9. Aprite le frontiere. 10. Attuate il diritto di voto.
Converrà riflettere sui paragrafi: 35, autorità e libertà; 113, il disarmo integrale, che presuppone il disarmo dei cuori; il 127 che condanna senza appello la guerra nucleare, avvertendo che mentre il testo italiano dice che riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia; il testo latino afferma categoricamente: «alienum est a ratione», è irrazionale, è – si direbbe – diabolico farneticare di guerra atomica!
L’uomo
Quest’anno celebriamo i vent’anni non solo dell’enciclica Pacem in terris e della liberazione del metropolita patriarca Slipyj, ma anche il ventennio della celebrazione della Pace nella Basilica Vaticana e al Quirinale (10-11 maggio) e il ventennio della morte di papa Giovanni (3 giugno). Piacemi conchiudere con alcune sue parole sul letto di morte, onnicomprensiva testimonianza del suo spirito di pace, del suo servizio di pace, del suo testamento di pace (24 maggio 1963):
«Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale, e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della chiesa cattolica. Le circostanze odierne, le esigenze degli ultimi cinquant’anni, l’approfondimento dottrinale, ci hanno condotto dinanzi a realtà nuove, come dissi nel discorso di apertura del concilio. Non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio…».
In questa estrema ed estemporanea “confessione” del figlio della campagna bergamasca, in limine vitae, esulta già il prefazio della Gaudium et Spes, la costituzione pastorale nella Chiesa e il mondo contemporaneo. Non è piccola cosa. Non è un semplice fiore. È davvero un seme di pace.
Caro Padre, in questo anno di anniversari, ancora di più attingo dalle sue memorie e mi fa e ci fa capire quanto lei abbia lavorato nell’ombra per ricordare e diffondere la memoria di Papa GIovanni.
Con affetto suo Ivan
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Presentazione del libro IL TENTENTE CAPOVILLA – Vasto il 25 novembre 2022
VASTO – Domani alle ore 17,30 presso la sala convegni della Società Operaia Mutuo Soccorso, in Vico Raffaello 1 di Vasto, sarà presentato il libro “Il Tenente Capovilla, Diario, documenti e immagini (1942-1943) di Loris Francesco Capovilla, Cappellano militare”.
L’incontro vuole essere un momento per ricordare il Cardinale Loris Francesco Capovilla e la sua straordinaria figura di uomo e prete, dopo sei anni dalla sua scomparsa e ad oltre cinquant’anni dal suo servizio nella Diocesi di Chieti Vasto.
Il libro, a cura Ivan Bastoni, già segretario personale del Cardinale Capovilla, racconta il periodo ‘militare’ di don Loris, tra i meno noti di una lunga vita attiva. E’ il tempo in cui Loris Francesco Capovilla è tenente cappellano d’aviazione ed ha come cura d’anime gli avieri dislocati nell’aeroporto di Parma e nelle sue dipendenze.
La ricostruzione è fatta di testi e documenti che erano in fase di raccolta ad opera dello stesso monsignor Capovilla con lo scopo di ricomporre un diario redatto all’epoca e andato smarrito, che era coevo di questi fogli, in origine dattiloscritti. Ne emergono moti dell’animo, meditazioni, profondità spirituali, slanci, capacità pastorali, radici profonde di cultura e di religione. Ne emerge – a sorpresa – anche un’azione di ‘Resistenza senza fucile’ di quel giovane cappellano che, dopo l’8 settembre 1943, si oppone per quanto può alla cattura di “suoi” giovani avieri da parte dei nazisti e riesce a salvarne, con sotterfugi, un numero modesto ma significativo, dall’internamento in Germania.
Oltre al curatore della pubblicazione, saranno presenti il sociologo, Marco Boato, il Presidente Amici della Cittadella / Memoria e profezia, Renzo Salvi, amici del Cardinale Capovilla, il Sindaco di Vasto Francesco Menna, il rappresentante dell’UCID Chieti Nicolangelo D’Adamo e Beniamino De Nardis che fungerà da moderatore.
A VASTO LA PRIMA STRADA INTITOLATA AL CARDINALE LORIS FRANCESCO CAPOVILLA – 25 novembre 2022
«Capovilla – ha detto il sindaco durante la cerimonia di inaugurazione presieduta da Don Gianni Sciorra – è stato il punto di riferimento sicuramente per Vasto e per la Provincia di Chieti, ma indubbiamente per tutta la storia della Chiesa universale e del papato. Ringrazio di cuore la famiglia Molino che è stata tra promotori di questa iniziativa che il Comune ha subito raccolto, insieme a tutti gli assessori . Un ringraziamento anche al Prefetto Forgione che ha consentito una deroga alla normativa che non permetteva l’intitolazione a dieci anni dalla morte di Capovilla. Grazie alla deroga è stato possibile procedere alla intitolazione in anticipo».
@ testi e foto di Chiaroquotidiano.it
Decimo anniversario della morte di Suor Primarosa Perani
2012 25 AGOSTO 2022
Mentre scrivo queste brevi righe che andrò ad aumentare nei prossimi giorni si sono fatte le 1.58 di notte del 25.08.2022.
Dieci anni fa, verso le 5 di mattina ho ricevuto una telefonata di Monsignor Capovilla che mi svegliava dicendo semplicemente: “è morta suor Primarosa”. Risposi: “Arrivo”.
Nel buio della mattina mi sono presentato da Monsignore nel suo studio, mi ha detto alcune cose con la voce commossa e poi si è preparato per la Santa Messa che ho registrato e ho dato anche copia ai suoi famigliari del video.
Una omelia come, non dico solo lui ma quasi, “solo lui” poteva fare.
Sarebbe bello trascriverla, anche alcuni spezzoni ma non renderebbe l’idea, sarebbe da pubblicare e penso che lo farò, per far capire cosa sia il legame di amicizia per oltre 60 anni insieme.
Suor Primarosa è stata una Santa nel senso che spiegava Giovanni XXIII, cioè chi fa ogni giorno cose semplici conservandosi pure e rette. Monsignor Capovilla a detta di molti che l’hanno incontrato “Santo” pure lui sono tutti e due in buona compagnia adesso di un Santo riconosciuto anche dalla Chiesa, che lui pure lo era già per acclamazione di popolo Giovanni XXIII.
Una bellissima storia di amicizia.
Allego il testo che Monsignore ha letto durante il rito funebre da lui celebrato per Suor Primarosa Perani. Avrei molte cose anche io, come tanti altri, da dire avendola vista per oltre 12 anni tutti i giorni e avendo trascorso moltissimo tempo in loro compagnia ma chi meglio del Cardinale Capovilla può farlo.
Come dicevo sempre ad entrambi, prima di salutarli la sera ed andare via, LE VOGLIO BENE. suo Ivan
2016 . 26 MAGGIO . 2022
sesto ANNIVERSARIO
DELLA MORTE DEL CARDINALE
LORIS FRANCESCO
CAPOVILLA
IN TEMPORE BELLI
Sono i giorni che più ravvivano il ricordo di
monsignor Capovilla. E sono anche i giorni bui
di una guerra sanguinosa, giorni che forse egli ci
avrebbe insegnato a leggere alla luce del Vangelo.
Vogliamo ricordarlo con due testimonianze relative
alla sua esperienza di cappellano presso l’aeroporto
militare Natale Palli di Parma e le strutture ad
esso collegate, settant’anni fa. Si tratta di un testo e
di un’immagine, attraverso i quali risentire la voce
e rivedere lo sguardo di un uomo capace di ascoltare
e di insegnare. Li estrapoliamo da una busta in
cui monsignor Capovilla raccolse una serie di documenti
su quei mesi pastoralmente impegnativi e
dalla quale abbiamo già attinto per un paio di questi
pieghevoli. D’altronde tali documenti sono tra le
fonti più preziose per conoscere l’animus di monsignore:
ognuno di noi è quello che è stato.
Natale del Signore 2021
in cerca di luce
Dal 27 maggio 1945 al 12 marzo 1950, sulle frequenze di Radio Rai di Venezia, monsignor Capovilla tenne una lunga serie di omelie. Ad alcune di esse, per gli anni 1945-1946, è stato dedicato il volume Predicate il Vangelo ad ogni creatura, edito nel 2014. In questo difficile Natale 2021 desidero offrire uno stralcio dall’omelia del 26 dicembre 1948.
Come poi farà sempre, in queste antiche omelie il giovane don Capovilla si rivolge non solo ai praticanti ma anche alle persone dalla ‘fede incerta’ – come lui diceva – che tuttavia sono in cerca di una luce, di una mano tesa che sappia accompagnare alla verità del Vangelo. Ritroviamo anche qui la stoffa di un sacerdote che sapeva spaziare nei campi della quotidianità e della storia, desideroso di impegno accanto ai fratelli e di incarnazione del messaggio evangelico: e incarnazione è il senso profondo del Natale. Di questo impegno di carità Capovilla cita due tra i testimoni principali in quella Italia del dopoguerra ancora straziata dai segni del conflitto ma piena di coraggio costruttivo: Giorgio La Pira, politico cristiano ‘tutto d’un pezzo’ che ‘non si vergognava di iniziare un dibattito politico con il segno della croce’ (sono le parole che per lui usava monsignore), e don Carlo Gnocchi, apostolo dei mutilatini. Due figure storiche che poi incontrerà di nuovo sulla sua strada, legandosi personalmente ad essi durante il servizio reso a papa Giovanni.
***
Di fronte alla verità
Fratelli e sorelle: sia lodato Gesù Cristo!
Mettere da parte, per pigrizia o per leggerezza, la trattazione dei grossi problemi dell’esistenza riesce comodo a certe categorie di persone, ma è cosa indegna di un essere intelligente.
Il che adunque voi non fate, dal momento che adesso tenete aperta la radio. Penso i miei ascoltatori tutti in buona fede, siano essi cristiani praticanti o meno.
Siete proprio in buona fede? Rivolgo la domanda soprattutto a chi praticando la religione si autodefinisce senz’altro un credente, avvertendo che non è raro il caso di gente che va a Messa e non ha fede in senso stretto. Purtroppo!
[…]
In cerca di luce.
Nella luce del gaudio natalizio, che tanto conforto suscita nei cuori, rinnoviamo le nostre buone disposizioni di fronte alla verità. È in buona fede chi diligentemente cerca la verità, vi conforma la vita ed ama la verità con tutte le sue forze. Viviamo in un’epoca di meravigliose scoperte e di profondi studi; eppure tanta gente, anche colta, spende assai tempo in letture inutili, frivole; e per questo vacilla nella fede. Gli uomini parlano di troppi argomenti marginali e si stancano presto di studi severi. In tutti i campi gli uomini compiono nobilissime imprese, ma non ancora cercano ansiosi di conoscere il vero; e la nostra gioventù nutre eccessivo entusiasmo per i muscoli e per le macchine prive di vita. Nessuna meraviglia che alle prime bufere il loro apparecchio si schianti e abbandoni le zone dell’azzurro sconfinato! Secolo febbrile di lavoro e di lotte il nostro. Non c’è dottrina o teoria per quanto strampalata che non trovi seguaci propagandisti. Siano rese grazie a Dio, anche la verità ha i suoi apostoli che il Papa nel messaggio natalizio ha additato all’ammirazione del mondo. Nell’ora della tecnica è scoccata anche l’ora dell’eroismo. La verità nasce nei cuori e si fa strada portata sulla breccia di una gioventù nuova che vince i pregiudizi, adeguando la propria vita alla sublime dottrina cristiana: integralmente. Siamo noi tra costoro? Ha destato intensa commozione il fatto che al cappellano-padre dei 15.000 mutilatini di guerra è stata assegnata la parte più cospicua del ‘Premio notte di Natale’ per un atto di bontà. Quale gioia poi nel leggere la conclusione del comunicato che assegna i premi: “Alla fine la Commissione si è raccolta in un sentimento di cordiale ammirazione e di plauso concorde intorno al nome dell’on. La Pira, Sottosegretario di Stato al Lavoro e alla Previdenza Sociale e non volendo mandare denaro ad un uomo che il denaro non cura e non chiede, se non per distribuirlo agli altri, segnala agli Italiani il nome di questo galantuomo che, professore universitario, Deputato, uomo di Governo, tutto dà di sé ai poveri, ai vecchi, ai disoccupati, ai diseredati”. Fratelli! gli araldi della verità sono in effetti anche gli araldi dell’amore. L’atto di fede infonderà gioia nei vostri cuori, se sarà preceduto da uno slancio di carità, se nella vostra vita la stella di Betlemme proietterà i raggi della Redenzione benefica, facendo di voi gli araldi di una società nuova, fondata sulla fede, sospinta verso il progresso sociale dalle dalle ali dell’amore.
***
Auguro a tutti Buon Natale, nel ricordo in un grandissimo uomo e sacerdote, prete veneziano – prete romano. Suo Ivan
25. XII. 2021 A. D.
***
2016 26 MAGGIO 2021
QUINTO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL CARD. CAPOVILLA
Natale 2020
nel ricordo dell’ottantesimo di sacerdozio del Cardinale Loris Francesco Capovilla 1940 – 2020
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio. (Isaia, IX, 1, 5)
Il cappellano militare don Loris Capovilla redigeva mensilmente relazioni/riflessioni sul suo impegno pastorale tra gli ufficiali e gli avieri dell’aeroporto di Parma. Nell’agosto del 1943 il giovane sacerdote (era nato nel 1915) medita sul senso del suo apostolato in momenti così difficili: «Sentiamo l’ora tragica, straziante. Forse talvolta chiediamo: perché Signore?… Se oggi più oscura e burrascosa appare la notte del nostro Paese, con maggiore certezza attendiamo l’ora di Dio…».
Sono sacerdote dal 23 maggio 1940. Cadeva in quella radiosa giornata la solennità del “Corpus Domini” e Tommaso d’Aquino con la sua mirabile sequenza [l’inno Lauda Sion], esposizione completa del Sacramento dell’Amore, catechizzava la mia giovinezza sacerdotale.
«Dogma datur christianis – quod in carnem transit panis…». Il cammino della tua vita sarà lungo o breve, sembrava dirmi la Liturgia, poco importa; ti basti sapere che non morirai di fame spirituale né tu, né i fratelli che accosterai: «Ecce Panis Angelorum…».
Rivedo la processione di quel giorno quasi lontano attorno alla piazza della mia parrocchia [San Zaccaria a Venezia] e le processioni lungo i viali del Seminario, durante gli anni della formazione.
«Tu, qui cuncta scis et vales…». Ah, Gesù! Tu sai tutto e tutto puoi, opera lungo la strada del mio sacerdozio i tuoi stessi miracoli. Non importa che io veda, basta che io creda. Non ha importanza che il mio entusiasmo si manifesti esteriormente nel sorriso; può esserlo anche nelle lagrime. Concedimi di rimanere un rivoluzionario estremista! Non seduto a tavolino, ma perennemente in piedi, nell’atteggiamento di chi ha ancora un miglio di strada da percorrere: il miglio della carità…
In questi momenti di smarrimento ripensavo ai progetti e ai sogni di quel giorno memorando. Anzi vi ripenso di continuo, per trovare nella Fede il conforto e l’entusiasmo necessari più che mai; vi ripenso soprattutto accostando giovani che sembrano calati giù da inconsistenti altezze e si raggirano in labirinti senza via d’uscita […].
«Lasciateli parlare anche loro, i giovani», diceva il Card. Ferrari. E noi sacerdoti usciti di fresco dal Seminario, decisi a tutto osare per la causa delle anime, ci siamo buttati a capofitto. Forse talvolta abbiamo osato troppo e nella nostra inesperienza abbiamo anche gridato vittoria appena appena sferrato l’attacco. Comunque credemmo all’Amore. «Et nos credidimus charitati» [1 Gv, IV, 16].
Caro Padre, questo breve ricordo della sua vocazione sacerdotale sarà certamente motivo di gioia per i suoi amici e, soprattutto, una conferma del suo animo sempre limpido, coerente dalla giovinezza sino al tramonto della vita: «Non seduto a tavolino, ma perennemente in piedi, nell’atteggiamento di chi ha ancora un miglio di strada da percorrere: il miglio della carità…». Chi l’ha conosciuta ritrova in queste ormai antiche parole la stessa fede e la stessa integrità degli ultimi anni, sempre vigili e laboriosi, radicati nella Roccia di cui ci parla il Vangelo, e sempre vissuti in una rinnovata giovinezza di spirito; come recita il salmo 43, caro a ogni sacerdote: «Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam».
Suo Ivan
Villa d’Adda, 25 dicembre 2020
***
VIGILIA DI NATALE NEL RICORDO DI UN ALTRO AMICO
L’altra sera sono venuto a conoscenza della dipartita di Padre Marco Malagola, amico di Capovilla sin dai tempi in cui entrambi erano in Vaticano.
ll 15 novembre del 2018 mi scrisse : Carissimo Ivan, Con immenso piacere ricevo l’opuscolo che racconta dettagliatamente, sia pure in maniera sintetica, la storica elezione pontificia di Giovanni XXIII. Ti ringrazio di cuore. Tu sai con quale quotidiana e attenta vicinanza ho vissuto gli anni del mio servizio in Segreteria di Stato. Ho letto e riletto quelle poche pagine con profonda e commossa trepidazione. Nostalgia di interiori e sommessi ricordi che accompagnano quotidianamente il cammino della mia vita. Di ritorno dal Sotto il Monte parecchie settimane fa ho fatto una visita a mons. Loris. Ho avvertito che “sorella morte” non poteva essere lontana. Così fu. Abbiamo rievocato ricordi vicini e lontani. Giovanni XXIII sarà stato in ascolto. Mio caro Ivan restiamo uniti nella preghiera e nella memoria … Ti auguro ogni benedizione con i Tuoi Cari e ti saluto e ti abbraccio con tanto tanto affetto. Marco
Gli ho parlato al telefono circa due mesi fa, alcuni giorni prima del suo compleanno, il 4 novembre. L’ho sentito come sempre “Innamorato di Dio” come lo definivo spesso. Sempre sereno, lui diceva a me ma credo a tutti quelli con cui parlava, che era contento, era pronto a morire, non aveva paura. Aveva avuto una vita piena e non poteva desiderare altro.
Di seguito la sua testimonianza che gli chiesi in occasione di un libro per ricordare Capovilla, preceduta dalla poche righe che introducono l’autore dei brani nel libro dal quale è tratto “Forzare l’aurora a nascere”.
Padre Marco Malagola, minore francescano originario di Luino (Varese), dal 1959 al 1970 ha lavorato nella Segreteria di Stato vaticana, come collaboratore del sostituto Angelo Dell’Acqua. Negli anni settanta è missionario in Papua Nuova Guinea. Rientrato in Italia, ha lavorato nella commissione Giustizia e Pace dell’ordine dei frati minori, quindi è tornato a servizio della diplomazia pontificia, presso le Nazioni Unite a Ginevra e la nunziatura apostolica in Belgio. Tra il 1999 e il 2004, a Gerusalemme si è occupato di diritti umani per conto della Custodia di Terra Santa.
TALIS PATER, TALIS FILIUS
di Marco Malagola, o.f.m.
Ho conosciuto don Loris Capovilla durante gli anni del mio servizio in
Segreteria di Stato come segretario del sostituto della stessa Segreteria di Stato monsignor Angelo Dell’Acqua. Praticamente dal 1958, anno dell’elezione al soglio pontificio di Papa Roncalli, fino al 3 giugno ’63, giorno del suo glorioso transito al cielo.
La vita di don Loris è stata profondamente segnata dalla stretta e filiale
collaborazione con Roncalli fin dal 1953 quando, semplice prete veneziano, viene nominato segretario del patriarca di Venezia Angelo Roncalli.
L’esperienza del Concilio Vaticano II e gli anni non facili del ‘dopo
Concilio’ avevano allargato e approfondito la sua esperienza di Chiesa
rendendolo testimone fedele e fonte preziosa di quella interessante stagione ecclesiale. Don Loris ha offerto un grande contributo allo studio
del pontificato di Giovanni XXIII, protagonista della storia del Novecento, partendo dalla diffusione del Giornale dell’anima, il prezioso diario personale della spiritualità di Papa Giovanni, divenendo poi fattivo promotore della causa di canonizzazione del ‘suo’ Papa.
Nei suoi ultimi anni di vita mi recavo di tanto in tanto a Camaitino a
Sotto il Monte, paese natale dei Roncalli, dove nel 1988 don Loris si era
ritirato dopo l’esperienza episcopale di Chieti e di Loreto. Il suo è stato
un ritiro vissuto ogni giorno nella preghiera e nello studio, tutto dedito
alla memoria del suo Papa, ma anche sempre attento a quanto accadeva
in Italia, nel mondo, nelle realtà ecclesiali, nella cultura e nella vita
comune. Con vivo interesse seguiva il cammino della Chiesa di Papa
Francesco. Lo ammirava moltissimo, ritrovando in lui la visione e lo stile
pastorale del ‘suo’ Papa e Maestro. Il 16 maggio scorso aveva ricevuto
l’ultima telefonata di Papa Bergoglio. La prima l’aveva ricevuta nella primavera del 2013 nelle primissime settimane dopo l’elezione, in risposta a una sua lettera: «Preghi Papa Giovanni perché io diventi più buono» gli aveva detto Bergoglio. Giornalista e acuto scrittore, scriveva a tutti, si ricordava di tutti. Eravamo amici fraterni. Non finirò mai di leggere e rileggere gli scritti e le lettere che soleva inviarmi.
Era bello vederci, una gioia incontrarci. Conversazioni sempre interessanti.
Ci si raccontava, si rievocavano figure di comuni amici da Alexander
Langer, il coraggioso e instancabile ‘costruttore di ponti’, a Giorgio
La Pira, il sindaco santo di Firenze, difensore della povera gente,
iniziatore di tentativi contatti di pace pagando di persona le sue ardite
iniziative, a David Turoldo, profeta e testimone, esponente della poesia
italiana contemporanea che ha aiutato a non sbagliarci di Dio, a Primo
Mazzolari, Arturo Paoli, Ernesto Balducci, e infine Marco Boato, l’amico
affezionato di sempre, e tanti tanti altri, senza dimenticare il giovane collaboratore e fedele segretario negli ultimi anni della sua vita, Ivan Bastoni, suo esecutore testamentario. Per don Loris come per Papa Giovanni, l’amicizia di tutti e di ciascuno era considerata un sacramento, occorre rispondere sempre a tutti con amabilità, come suggeriva il Papa buono.
In Segreteria di Stato i miei contatti con lui erano quotidiani. Quanti
ricordi! Si era vicini al Natale. Era sera. Mi telefona don Loris e mi dice:
«Ho bisogno di lei. Il Papa stava scrivendo una lettera di auguri ai familiari e sul più bello si inceppa la sua macchina da scrivere. Mi aiuti lei.
Il Papa la completa a mano e io gliela porto, così lei può riscriverla per
intero con la sua». La scrivo. Leggo in quella lettera l’anima semplice di
Papa Giovanni che si rivolge ai suoi familiari con una tale affettuosità da
rimanerne profondamente commossi. Ricorda tutti, per nome, e quando
arriva a ricordare i bambini esclama: «Oh i bambini! Che dono, quale
ricchezza!».
Ricordo che era già sera e me ne stavo tranquillamente tutto solo in ufficio a lavorare. A un certo momento, squilla il telefono. Don Loris mi
pregava di richiedere all’archivio un certo documento che il Papa desiderava consultare con urgenza. Passo subito la richiesta ad un collega archivista. Dopo un po’ un secondo squillo. Ancora il segretario del Papa che mi chiedeva se il documento fosse in arrivo. Rispondo che la ricerca era in corso. Passano altri pochi minuti, e poi… un terzo squillo. È il Papa in persona. «Padre», mi domanda, «e allora? Si è trovato il documento?». Io, alquanto sorpreso di ascoltare la voce del Papa, ma altrettanto desideroso di assicurarlo che il documento lo si stava cercando, rispondo:
«Santità, creda, lo si sta cercando disperatamente». E lui: «Cosa ha
detto?». «Sì» replico io, «lo stanno cercando disperatamente, ma vedrà che salterà fuori». E il Papa di rimando, col suo fare benevolmente paterno:
«Disperatamente? Ah no, figliolo, disperatamente mai. Ma non sai che il
verbo ‘disperare’ è introvabile nel vocabolario cristiano?». Il documento
fu trovato e poco dopo era nelle mani del Papa.
Rammento che qualche giorno dopo la morte del Pontefice, rientrando
in ufficio, trovo sulla mia scrivania un pacchetto. Lo apro incuriosito, e
cosa trovo? Una comune, comunissima sveglietta di due soldi con poche
righe di don Loris che così si esprimeva: «Padre Marco, voglia gradire, è
una piccola sveglia. E forse non funziona neppure troppo bene. Ma era
accanto a ‘quel letto’!».
Antivigilia del Natale ’61. Mia mamma è in fin di vita. Per il medico che
l’assiste è spenta ogni speranza. Alla sera il medico la lascia, persuaso di
tornare il mattino dopo per stendere l’atto di morte. Da casa mi si comunica la notizia e io parto immediatamente con il primo aereo. Nel frattempo monsignor Dell’Acqua comunica a don Loris le gravi condizioni
della mamma. Arrivo il mattino seguente al mio paese, Luino (si può immaginare in quale stato d’animo), e trovo, con mia sorpresa, la mamma,
sveglia sul letto che mi aspetta e mi tende le braccia per abbracciarmi
tra lo stupore dei familiari. Nel frattempo dal Vaticano mi arriva un telegramma: un testo breve e conciso, ma sorprendentemente significativo:
«Santo Padre prega per mamma sua. Sia lieto. Il Natale è giorno di festa.
Sursum corda!». Firmato: Capovilla. Che pensare? Lo sa il Signore!
In perfetta sintonia e amicizia con il sostituto della Segreteria di Stato
monsignor Angelo Dell’Acqua, don Loris era posto al centro delle problematiche della politica interna ed estera vaticana. Si pensi alla crisi
Usa-Urss dell’ottobre ’62 sui missili a Cuba, quando lo storico e provvidenziale intervento di Giovanni XXIII riuscì a scongiurare il pericolo di una guerra mondiale nucleare. Secondo la testimonianza di don Loris, quella terribile crisi ispirò al Papa la storica e sempre attuale enciclica Pacem in terris. Il rapporto di don Loris con il ‘suo’ Papa era un rapporto di affetto reciproco da figlio a padre e da padre a figlio in perfetta e commovente simbiosi. Di lui vorrei sottolineare che, oltre al suo ruolo di umile segretario, ne era anche l’intelligente consigliere e il delicato suggeritore.
Se le relazioni tra Israele e la Chiesa sono cambiate lo si deve all’astuzia
con cui don Loris riesce a far parlare, a dispetto di tutti i filtri dell’allora
anticamera pontificia, Jules Isaac col Papa. È lui che accende la luce della
stanza del Papa la sera di Pentecoste del 1963 quando per un istante tutto il mondo piange la stessa lacrima. Basterebbe ricordare il filiale suggerimento del viaggio papale in treno ad Assisi e in altre occasioni. E poi la sera del giorno di apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962.
Ricordo che Piazza San Pietro era invasa da una folla osannante. Quella
sera splendeva alta la luna. Il Papa, dopo quella giornata storica così intensa ed emozionante, era molto stanco.
Dopo aver salutato dalla finestra i padri conciliari e la folla acclamante,
fu proprio don Loris che, nell’osservare quella folla che non finiva mai di
acclamare il suo pastore, invita il Papa ad affacciarsi ancora una volta alla
finestra; ed ecco aprirsi il leggendario ‘discorso della luna e della carezza
ai bambini’, discorso tanto più significativo per la spontaneità con cui
quel discorso uscì dal cuore del Papa. «Si direbbe che persino la luna si
è affrettata stasera, osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… La mia persona conta niente» aggiungeva il Papa. «È un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di nostro Signore. Ma tutti insieme,
paternità e fraternità, e grazia di Dio, tutto, tutto… Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la
carezza del Papa».
L’ottimismo di don Loris era ottimismo di largo respiro. Tantum aurora
est! L’aurora è la speranza. È l’inizio dell’inizio. È soltanto l’inizio. Bisogna
guardare alto e lontano, ripeteva. Come il suo Papa guardava avanti.
Un progressivismo intelligente e umano. Papa Giovanni era la bontà
fatta persona: due occhi e un sorriso. Don Loris era un uomo dal sorriso
schietto e dal cuore trasparente. Non poteva essere diverso dal ‘suo’
Papa.
Un meraviglioso tandem in perfetta e armoniosa simbiosi: proprio così,
semplicemente: Talis pater, talis filius.
Torino, 7 settembre 2016
Tratto da “Forzare l’aurora a nascere”, Ed. Grafica e arte 2017,
© Testi e immagini riproduzione riservata – Ivan Bastoni
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Ricordando Enrico e Annalisa, amici di Monsignor Capovilla
Oggi, martedì 20 ottobre 2020, è una giornata un po’ triste perché ci hanno lasciato due persone che per vie diverse hanno incrociato le loro vite con quella del cardinale, rimanendone però aggrappati con lealtà e fedeltà, non usando Monsignore per avere un ritorno di popolarità fine a se stessi ma perché affascinare da un anima pura e nobile.
Enrico Campitelli, di Casoli, da 53 anni in rapporto quotidiano, e dicendo quotidiano lo affermo per davvero con monsignore. Quando Capovilla era a Chieti i loro incontri erano frequenti, trasferendosi poi e con l’avanzare dell’età gli incontri sono stati sostituiti da una o più telefonate giornaliere e da venti anni anche io ero solito sentirlo ogni giorno. Amico leale, fedele, riservato di monsignore non ha mai chiesto neppure una medaglia, una firma, un autografo o dedica che sia. Non mi stupisce che molti non lo conoscano ma questa sera io lo voglio ricordare come una delle figure più vicine a Sua Eccellenza, come lo chiamava, oppure a me in confidenza lo definiva… “lo Stellone”, che non voleva essere un termine blasfemo ma era perché lo identificava come una stella enorme e lucente nel firmamento per noi suoi amici.
Capovilla a Chieti ha proprio detto anni fa, in occasione di un funerale che un giorno racconteremo, che i funerali si fanno per i vivi e non per i morti. I morti sono nel regno di Dio, i vivi hanno bisogno di consolazione. Queste poche righe le scrivo con gioia da segretario del Cardinale Loris Francesco Capovilla, da suo erede universale, così come mi ha designato e confermato più volte, perché sia ufficiale, per una volta consentitemi di dirlo, il riconoscimento che Enrico merita avendo io titolo per farlo più di chiunque altro.
Enrico sei stato e sarei Amico fedele. Sia motivo di gioia per la tua famiglia, tua mamma Maria, tua moglie Ornella e tua figlia Cecilia, il riconoscimento che Monsignore in vita ti aveva dato per davvero , credendoci: Amico e gentiluomo. Diceva di te: “Chiama Enrico, quello sa tutto, non esce e legge e si informa”. Oggi se ne va un altro pezzetto di storia, di lunga e feconda conoscenza. Ci siamo sentiti l’altra sera e ieri avendo più volte provato a chiamarti senza fortuna, trovando il telefono spento, ho immaginato che stessi riposando anche perché non avevo avuto notizie allarmanti in giornata.
Oggi invece la terribile notizia. Adesso sta a noi tuoi amici, non abbandonare la tua famiglia, orfana di un grande Figlio, marito e padre, restandogli accanto, soprattutto a Cecilia, che era la tua gioia e la tua preoccupazione come padre, timoroso che qualche cosa potesse non andare per lei come tu avevi immaginato.
Se siamo, come lo siamo, pochi ma lo siamo, amici di monsignore, abbiamo imparato che il cardinale non deludeva mai, non abbandonava mai nessuno, figurarsi i più vicini. Noi lo faremo per te, ciascuno per come potrà perché possiamo dire un giorno che abbiamo capito quale è stato il vero lascito di Capovilla, purtroppo da molti che ce lo volevano insegnare, come spesso dicevi, neppure minimamente capito.
Questa notizia triste, mi è giunta pochi istanti dopo esser uscito dalla casa di Luca, mio carissimo amico da oltre trent’anni. A 42 anni ha perso sua moglie, ANNALISA, madre di Francesco e Susanna.
Anni prima Luca ci aveva aiutato a sistemare un problema al computer. Tutti noi sappiamo che Capovilla restituiva mille volte un piacere ricevuto con una generosità sconfinata. Oso credere che monsignore sia corso incontro alla giovane mamma Negli ultimi giorni di sofferenza Anna chiedeva a Luca di pregare o di avvicinare le reliquie di Papa Giovanni ricevute in occasione della nascita dei due figli. Donna di fede, religiosa, studiosa, moglie e madre “incomparabile” avrebbe detto Capovilla.
Cosa avrebbe detto a Luca o ai suoi bambini? DI fronte alle sofferenze di questo genere ad una mia domanda precisa su cosa dire, mi guardo serio e rispose: “Cosa vuoi dire, si tace, non si dice niente”, poi avvicinava il dito indice destro alla bocca in segno di silenzio, continuando poi con un segno di croce. Lui avrebbe pregato, pregato veramente e ardentemente, affidando a Papa Giovani l’anima della giovane mamma, avrebbe avuto un pensiero per il fratello e la mamma della giovane ragazza, e in particolare per Luca, Francesco, Anna.
Il pensiero io così profondo a parole non lo so esprimere ma ho la certezza assoluta che monsignore ha accolto, per chi crede, Anna in Paradiso perché come dicevo, lui è un uomo che non era capace di deludere mai.
Giorno triste oggi, speriamo di poter vedere nuovi cieli e nuove terre, più gioiose per tutti. Oggi siamo tutti un po’ orfani di persone splendide, non perfette, ma pulite e sincere. Ce ne sono tante, lo so, la gente buona esiste, ma per una volta ho voluto raccontarne qui due esempi che forse non avranno mai la ribalta dei media nazionali ma nei nostri cuori, di chi li ha conosciuti con l’intreccio dell’amico comune monsignor Capovilla, rimarranno scolpite nel nostro animo in maniera indelebile.
20 ottobre 2020
***
Oggi era il tuo compleanno, caro cardinale Loris. Verso l’ora del l vespro, quando ci sentivamo più di qualche volta, mi è venuto in mente il forte richiamo del tuo cuore. Un cuore che ha vissuto, sofferto e tanto amato con il coraggio e la tempra dei preti veri. La voce ,a tratti decisa ,i tuoi scritti di speranza e già rivolti a nuovi orizzonti…eri proprio più avanti di noi e certamente sofferente per una Chiesa ancora ingessata, una Chiesa che hai amato e servito nella coerenza del solo Vangelo, la Parola che non passa come affermava don Primo Mazzolari. Quel don Primo che san Giovanni XXIII, il “tuo” Papa, definiva la “tromba dello Spirito Santo della Valpadana”. Oggi prega per noi, per questo Papa Francesco sempre più solo ma forte di una scelta che lo guida in questo mare in tempesta. Dicevi di portare pazienza ma con lo spirito di una verità mai taciuta e da proclamare sempre, senza infingimenti. Veglia su di noi insieme con padre David Maria Turoldo lì accanto a te in Cielo, adesso, santi di Dio e prima a te vicino in terra.
Il mio grazie infinito, Padre carissimo e auguri! Mario Pavan.
Cardinale Capovilla nel suo 105 ° compleanno…
Auguri Padre. Il tempo affievolisce sensazioni, dolori e affetti ma per alcuni amici il suo ricordo è vivo come sempre. Lei è sempre tra noi. Prete vero, uomo vero.
Nel giorno del suo compleanno prendevo il giorno di ferie, venivo da lei la mattina presto per la messa e poi, una volta rientrati nel suo salotto, iniziavano le telefonate di auguri, messaggi, telegrammi e visite e così è stato sino all’ultimo dei suoi compleanni. Gli ultimi sono stati amari ma nonostante tutto lei non ha mai smesso, seppur stanco e preoccupato, di ricevere con il sorriso. Anche per lei vale l’espressione che usava per Papa Giovanni: “Due occhi e un sorriso”.
Nell’immagine sotto, si vede proprio il suo sorriso, paterno e acuto al tempo stesso. L’inquadratura rende bene il servizio che ha svolto: Lei e il Pontefice siete per così dire “in colonna” e lei lo è stato per davvero per Papa Giovanni; è stato la sua colonna e sostegno. Il ricordo del Pontefice lo si deve quasi esclusivamente a lei e questa non è una mia opinione ma il comune sentire di chi conosce la storia e per questo le siamo grati.
Scrivendo come se le parlassi direttamente, mi piace immaginare di averla accanto, di ricevere una risposta e la sua benedizione. Suo Ivan
***
Festa di San Giovanni XXIII. 58° anniversario dall’apertura del Concilio Vaticano II
Nel ricordo dell’annuncio del Concilio Vaticano II, vorrei farvi conoscere la lettera di auguri che Monsignor Capovilla aveva inviato al Professor Vergottini, per il sito internet “viva il Concilio” che stava iniziando la sua attività.
Nelle parole di monsignore l’aupsicio che il Concilio sia sempre più conosciuti, ampliato ma soprattutto, come diceva applicato.
Era il 2010 e forse si tentennava ad applicarlo, sino all’arrivo di Papa Francesco e una spinta nuova è apparsa. Come ha scritto Capovilla su una cartella… “é tornato Papa Giovanni.
Spero che questa lettura vi accompagni in questo giorno di ricordo e ricorrenza nella festa di San Giovanni XXIII.
TANTUM AURORA EST
Con intensa commozione e ineffabile riconoscenza, saluto, ammiro e ringrazio i promotori del sito Viva il Concilio che, a datare dal 25 gennaio 2010, si offre all’informazione e all’amicizia di tutti coloro che avendo riflettuto su Gaudet Mater Ecclesia, discorso inaugurale della assise ecumenica (11 ottobre 1962), sono radicati nel credo apostolico, custodi di tutto il patrimonio teologico, patristico, giuridico della chiesa, da Nicea al Vaticano I, strettamente uniti al Romano Pontefice, anelanti a raggiungere “la nuova terra in cui abbia stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3, 13), cioè santità, misericordia, amore.
So di certo, e lo sento, che il Concilio ha molti amici in cielo e in terra. Il loro numero aumenta. I testimoni di fede, fraternità, solidarietà, corresponsabilità splendono come stelle del firmamento. Basta alzare il capo all’invito di Gesù per vedere i campi biondeggianti per la messe (Gv 4, 35). E quel tantum aurora est, perla incastonata in Gaudet Mater Ecclesia: siamo appena all’aurora dell’evangelizzazione e della civiltà che da Cristo prende nome e linfa vitale, non è illusione, né presunzione: è vita, storia, speranza.
Tra gli anziani, i novantenni, i malati terminali, i carcerati a vita, i diseredati, gli orfani più orfani nel cui petto non arde la lampada della fede, c’è qualcuno che rimane toccato dal tantum aurora est? Sì, più d’uno. Lo so per esperienza. La stanca mano di chicchessia stringe alcuni piccoli semi, simbolo di vita o di rinascita.
Avendolo appreso da Papa Giovanni oso suggerire a tutti di giudicare il passato con rispetto ed anche con gratitudine, il presente con pazienza e carità, il futuro con fiducia.
Ho riflettuto molto su questo ispirandomi a Giorgio La Pira e ad Elie Wiesel, il sopravvissuto di Auschwitz, lasciandomi trascinare dalla loro visione dei fiumi che, nonostante anse, sbalzi e intoppi vari, alla fine sfociano in mare (cfr Qoèlet 1,7).
È d’obbligo non porre ostacoli al progresso, sia pure lento, della storia; è compito di ciascun cristiano cooperare allo scorrere del Concilio Vaticano II verso pienezza di attuazione e fare memoria del testamento di Giovanni Paolo II, lui pure convinto del tantum aurora est:
“…Stando sulla soglia del terzo millennio, in medio Ecclesiae, desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa, e soprattutto con l’intero episcopato, mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo, che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato” (Testamento, Libr. Ed. Vaticana, 2005).
Ci tentasse la delusione o la paura o lo sconforto, chiamiamo in aiuto tutti i santi, quelli elencati nel martirologio romano e orientale, i giusti di tutte le religioni, i testimoni venerati da Papa Wojtyla nell’anno del grande giubileo, e infine rivolgiamoci a Colei che è al disopra di tutti:
A colei che intercede.
La sola che possa parlare con l’autorità di una madre.
A colei che è infinitamente giovane
Perché è anche infinitamente madre.
C.Péguy, Oeuvres Poétiques, Bibl. de La Pléiade 1951, p. 205
Il mio stato d’animo è lo stesso di tanti piccoli uomini, altalenanti tra delusione e speranza, non immemore di estreme parole di Papa Giovanni: Abbiamo molti amici, ne avremo anche di più. Questa affermazione contiene una profezia. Il Concilio Vaticano II ne ha molti – ripeto – moltissimi. Così ci rassereniamo e tiriamo innanzi fiduciosi, in comunione coi fratelli e sorelle saldissimi nella fede e disposti al martirio della pazienza, sostenuti dalla suggestione del poeta:
C’est la nuit qu’il est beau de croire à la lumière.
Il faut forcer l’aurore à naître, en y croyant.
Di notte è bello credere alla luce.
Bisogna forzare l’aurora a nascere, credendoci.
Edmond Rostand
Concordi e fidenti vogliamo invitare l’aurora ad annunciare i tempi messianici dell’incontro e del dialogo, dell’intesa e della riconciliazione, pronosticati in tre circostanze del pontificato giovanneo: 11 ottobre 1962, inizio del Concilio; 11 aprile 1963, promulgazione di Pacem in terris; 3 giugno successivo, sua dipartita per le sfere celesti, sollevato sulle braccia di uomini e donne di ogni nazione che è sotto il cielo (Atti 2,5).
Ho intravisto questi tempi negli occhi limpidi di persone via via incontrate a Venezia, in Vaticano, in Abruzzo, nelle Marche e nella Bergamasca, e in altri Paesi dell’amatissima Italia e provenienti dal mondo intero; anzitutto nei cristiani e cristiane innamorati di Cristo, pellegrini dell’Assoluto, scalatori della Montagna delle beatitudini, equipaggiati con ogni ben di Dio, spogli di orgoglio, denaro, potere.
Ogni sera, accanto alla dimora che mi ospita, suona la campana dell’Angelus, non per dare inizio alla notte, ma per rinnovare l’annuncio dell’incarnazione del Verbo, e io, dal bel poggio di San Giovanni, ho come l’impressione di vedere il quattrenne Angelino dei Roncalli, sollevato sulle braccia di mamma Marianna, in atto di presentarlo alla Madonna delle Càneve, santuario campestre di Sotto il Monte, sussurrandogli: Vedi la nostra Mamma com’è bella. Io ti ho consacrato a lei, e riflettendo sul mio destino e su quello di ogni mio simile, immensamente amato da Dio, metto sulle labbra dell’umile popolana, per me e per tutti, la preghiera di San Bernardo per Dante Alighieri, riportato dalla desolazione ai gaudii della visione beatifica:
Ancor ti prego, Regina, che puoi
Ciò che tu vuoi, che conservi sani
Dopo tanto veder gli affetti suoi.
Paradiso, XXXIII, 34-36
Così vedo. Così supplico. Così interpreto il tantum aurora est che esulta nell’animo, di coloro che vivono e amano, lavorano e soffrono, e con me declamano appassionatamente la sentenza di Pietro: “In verità mi rendo conto che Dio non fa differenza di persone, ma in ogni nazione, colui che lo teme e pratica la giustizia è accetto a lui, che ha mandato la parola ai figli di Israele, evangelizzando la pace per mezzo di Gesù Cristo, poiché egli è il Signore di tutti” (Atti, 10, 34-36).
+ Loris Francesco Capovilla
arcivescovo di Mesembria
titolo di Angelo Gius. Roncalli (1934-1953)
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53 anniversario di Episcopato
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2016 – 26 maggio – 2020
QUARTO ANNIVERSARIO DALLA MORTE
di
Loris Francesco Capovilla
Caro Padre,
il quarto anniversario dalla sua scomparsa ravviva in chi l’ha conosciuta la memoria della sua persona e del suo stile di vita, intessuto di servizio e di ascolto.
Inevitabilmente, in questa stagione di pandemia, il ricordo della sua dipartita si unisce a quello dei numerosi sacerdoti (e non solo) morti a causa di un virus che – emerso all’inizio dell’anno 2020 e in principio ritenuto un problema di altri, una notizia tra le tante, riguardante terre e genti lontane – ha finito per sconvolgere le nostre abitudini e, soprattutto, ha portato alla morte di migliaia di persone. Abbiamo imparato una volta di più che, nel bene e nel male, «nessun uomo è un’isola», per usare un verso di John Donne che lei amava molto.
Perciò, nel ricordare lei, che amava definirsi anzitutto «prete», e sulla cui croce sepolcrale è riportata la scritta «prete romano – prete veneziano» , vogliamo far memoria anche dei tanti suoi confratelli che sono morti per stare accanto ai loro fedeli, certi che lei avrebbe fatto la stessa cosa in uno dei suoi pieghevoli. Molti di questi preti sono morti proprio nelle zone del suo apostolato sacerdotale e poi episcopale, nel Veneto, nelle Marche, e nella terra stessa di Papa Giovanni, con numeri impressionanti e insieme, paradossalmente, consolanti, perché testimoniano la presenza in mezzo a noi di tanti pastori santi e sconosciuti, che tutto hanno dato per il loro gregge: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni XV, 13).
Mi torna alla mente quanto lei disse nell’omelia della messa di ringraziamento per il suo centesimo compleanno: «A mezzogiorno di due anni fa il Papa Francesco ha fatto i nomi [dei nuovi cardinali]. Io ho ascoltato stando seduto; ero solo qui, ho ascoltato in silenzio […] poi ho pensato e l’ho detto subito (e so di aver fatto piacere a tanti bravi e umili sacerdoti): il Papa elevando me al rango di cardinale di Santa Romana Chiesa ha inteso elevare tutti coloro – sacerdoti o missionari – che in tutto il mondo hanno vissuto una vita di povertà, castità ed obbedienza. Umili e obbedienti, umili e servitori del loro popolo. Hanno avuto la stima del popolo, hanno avuto magari anche dei funerali solenni col pianto di tanti e tanti fedeli, ma non hanno avuto niente altro, non sono stati fatti né cavalieri della Repubblica, né monsignori della Santa Sede. Con la loro tunica sdrucita e nera sono scesi nel sepolcro, e così sono ricordati» (Forzare l’aurora a nascere, Grafica e Arte, Bergamo 2017, p. 20).
Insieme a questi preti ricordiamo anche i tanti medici, infermieri, volontari, farmacisti, rappresentanti delle forze dell’ordine che hanno operato al limite delle loro possibilità in una situazione che sembrava disperante, pagando spesso con la propria vita per aiutare le tantissime persone che sono state in un modo o nell’altro vittime del contagio. A loro si adatta magnificamente l’espressione usata da Papa Francesco nella messa in Coena Domini del 9 aprile: «I santi della porta accanto». «In questo momento», ha detto ancora il Papa intervenendo su Rai 1 alla trasmissione A sua immagine, «penso al Signore crocifisso e alle tante storie dei crocifissi della storia, a quelli di oggi, di questa pandemia: medici, infermieri, infermiere, suore, sacerdoti… morti al fronte, come soldati, che hanno dato la vita per amore, resistenti come Maria sotto le croci loro, delle loro comunità, negli ospedali, curando gli ammalati. Anche oggi ci sono crocifissi e crocifisse che muoiono per amore».
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In questo suo anniversario vorrei ricordare anche due sacerdoti a lei particolarmente cari: don Gianfranco Zenatto, morto il 6 dicembre 2017 e don Aldo Cristinelli, scomparso il 14 maggio 2020.
Don Gianfranco Zenatto, nato a Campagnola di Brugine nel 1943, è stato parroco dal 1997 al 2003 nella parrocchia della Madonna Pellegrina a Padova. È stato direttore della Caritas diocesana, della Casa del clero e del centro Mondo Amico, delegato vescovile per la Casa Madre Teresa di Calcutta e assistente spirituale presso gli Istituti riuniti padovani di educazione e assistenza.
Don Aldo Cristinelli era nato nel 1927 a Tavernola Bergamasca; sacerdote diocesano di Venezia, era stato ordinato nel 1956. Ha svolto il suo ministero a Mestre e Venezia. Negli anni si era avvicinato ai monaci di Camaldoli e al ‘deserto’ dei piccoli fratelli di Charles de Foucauld. Ritornato nella terra natale, ha vissuto con la sorella Rina nella cascina-eremo San Francesco di Parzanica, sul lago d’Iseo, dove ha accolto fraternamente amici in ricerca di fede, vivendo di lavoro, deserto e preghiera. Dal 2000 si erano ritirati nell’eremo presso la Madonna di Cortinica.
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Mi sembra bello ricordare tutti questi “giusti” del Signore con le parole piene di speranza del Libro della Sapienza (III, 1-9):
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio,
nessun tormento le toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero;
la loro fine fu ritenuta una sciagura,
la loro partenza da noi una rovina,
ma essi sono nella pace.
Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi,
la loro speranza è piena di immortalità.
Per una breve pena riceveranno grandi benefici,
perché Dio li ha provati
e li ha trovati degni di sé:
li ha saggiati come oro nel crogiuolo
e li ha graditi come un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno;
come scintille nella stoppia, correranno qua e là.
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli
e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità;
coloro che gli sono fedeli
vivranno presso di lui nell’amore,
perché grazia e misericordia
sono riservate ai suoi eletti.
Padre, siamo certi che lei veglierà su di noi e sulle nostre famiglie in questo tempo di prova.
Suo Ivan
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1940 23 MAGGIO 2020
Card. Capovilla, ottantesimo di sacerdozio.
Oggi ricorrono gli 80 anni di sacerdozio di monsignor Capovilla. Tra tre giorni ci sarà invece il quarto anniversario della sua morte.
Per ricordarlo solitamente ci trovavamo in compagnia degli amici più intimi, identificati in maniera chiara dal Cardinale stesso i cui nomi e volti sono scolpiti nel mio animo e nella mia mente, uno per uno. Quest’anno avevamo deciso di trascorrere la ricorrenza della sua morte in questo giorno di sabato, in ricordo anche della sua ordinazione sacerdotale, per venire incontro anche a chi proviene da altre regioni ma il corona virus ha stravolto questi programmi. Cercheremo allora di trovarci in video conferenza per salutarci e ricordare monsignore con il sorriso che si vede nella foto. In quella immagine si possono vedere molte sue caratteristiche.
C’è il prete, prete sino al midollo, come scrisse più volte, c’è l’abito che non fa il monaco ma dona dignità alla sua persona nel ruolo che ricopre. Più volte diceva ai sacerdoti che si avvicinavano vestiti da laici, e talvolta senza neppure un segno, che era bello invece potersi distinguere per essere subito riconoscibili dal fedele. In tale maniera, diceva, se durante un viaggio in treno, o in altre occasioni, una persona avesse sentito la necessità di una parola di conforto, immediatamente il vestito avrebbe dato una spinta al sofferente o al peccatore, nell’aprirsi con quel prete che era accanto o vicino a lui.
Il sorriso, che più volte lui stesso ha ricordato descrivendo Papa Giovanni: “due occhi e un sorriso”, che ti faceva sentire subito a tuo agio, pronti ad aprirgli il proprio animo e confessargli le proprie miserie.
Il Libro invece ci porta immediatamente alle sue origini venete, al sacerdozio iniziato e professato in quella terra, in cui per molti anni ha predicato alla radio Rai di Venezia le sue omelie, che molte persone mi dicevano di ricordare ancora. Non certo parola per parola, ma il senso profondo e l’attualità in cui calava il vangelo, in maniera tale da farlo arrivare anche agli ultimi e ai più semplici.
caro Padre, ho scritto di getto, tanto è vero che stanotte dovrò certamente rivedere eventuali, anzi certi errori di battitura ed altro, ma mi interessava ricordarla a nome di tanti che la amano ancora e non la dimenticano. Ho ricevuto trai primi due messaggi di Don Ludovico e da don Heino Sonnemans dalla Germania. Poi la telefonata di un suo fedele amico, Fratel Giancarlo Sibilia dei Piccolo Fratelli di Sassovivo, custodi adesso della sua camera da letto, piccola ma che ha avuto come ospite e fruitore un santo come lei.
La ricordiamo con gioia e affetto, insieme però ad un pizzico di malinconia, pur sapendo che “Pucci” , come la chiamava suo papà, adesso è in compagnia dei suoi cari.
Ivan
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5 FEBBRAIO 2020
20 anni fa avveniva il mio primo incontro con monsignor Capovilla. Ricordo quasi tutto perfettamente ma soprattutto la prima impressione, la conversazione di circa due ore . Prima di andarmene la frase che mi disse e soprattutto quella rimarrà per sempre nella mia mente e nel cuore.
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Natale 2019
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1915- 14 ottobre – 2019
Compleanno del Cardinale Loris Francesco Capovilla
Auguri Padre. Oggi, nella ricorrenza del suo centoquattresimo genetliaco, mi piace ricordarla così, mentre legge il messale e si intrattiene faccia a faccia con Giovanni XXIII: il Papa pare che la stia ascoltando. Quella sera lei era contento poiché i calchi del volto e della mano, rilevati dall’amico Giacomo Manzù subito dopo che il pontefice era spirato, erano finalmente tornati da lei dopo quasi due anni di lontananza. Più volte mi aveva detto di “sentire nelle sue carni” queste due opere d’arte, perché le ricordavano la sofferenza e le emozioni provate in quei momenti.
Proprio ieri Papa Francesco ha canonizzato, tra altri, John Henry Newman. È stata una gioia per me, e certamente anche per lei, vedere iscritto nel Libro dei Santi il nome di questo grande Cardinale. Di lui mi aveva regalato tre libri il 6 febbraio 2000, nel giorno successivo al nostro primo incontro. Se mi fermo a riflettere, capisco ancor più chiaramente il senso di quel dono. Lei aveva la capacità di leggere nell’animo della gente, capirne le virtù e la santità: quanti personaggi dei quali mi ha parlato con entusiasmo, e in alcuni casi ai margini per anni, ora sono stati rivalutati! Dossetti, La Pira, Lazzati, Mazzolari, Romero, Turoldo… per citarne solo alcuni. Anche questo dimostra la sua capacità di profezia.
Caro Padre, mi manca la sua presenza quotidiana; per non sentire troppo questa solitudine cerco di attenermi a quello che Papa Giovanni le aveva suggerito: “buttarsi sul lavoro”. Proprio per questo da domani comincerò a elaborare il pieghevole natalizio per dare continuità, secondo le mie capacità, a quanto da lei iniziato subito dopo la morte di Papa Giovanni. Con affetto suo Ivan
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57 anniversario dell’annuncio del Concilio Ecumenico Vaticano II
Il ricordo di questo giorno è stato magnificamente raccontato nel corso degli anni da monsignor Capovilla che sapeva trasmettere tutta l’emozione di quei momenti. In un opuscolo ho recentemente ricordato e riprodotto alcuni appunti di monsignore al riguardo ma sarà con la divulgazione delle sue agende che si potrà entare ancor di più nel suo sentire. Non fino in fondo. magari perché alcune cose come ho avuto modo di scrivere e dire ad amici ho promesso di non rivelarle ma basterà quanto emergerà per farci emozionare.
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SETTE ANNI DALL’ARRIVEDERCI DI SUOR PRIMAROSA
2012 25.AGOSTO 2019
Oggi ricorre il settimo anniversario della morte di Suor Primarosa Perani. Persona magnifica, schiva, riservata che ha dedicato la sua vita al servizio della Chiesa, di Papa Giovanni e di Monsignor Capovilla.
Servizio fatto in libertà, con amore, intelligenza e fedeltà. Non “serva” come qualche stolta persona ha detto una volta ma “servizio”.
Ricordo come fosse oggi la telefonata che avevamo avuto con lei il giorno prima, 24 agosto. Donna che non chiedeva mai nulla aveva accettato un piccolo telefonino che le avevo comprato alcuni giorni prima per poter essere sempre in contatto anche con Mgr Capovilla che voleva sapere le sue condizioni. Quel giorno l’ha salutata mgr come doveroso e poi me l’ha passata. Le chiesi “Come sta?” e lei per la prima volta in dodici anni che la conoscevo e vedevo giornalmente mi disse “Ivan, non va tanto bene”. Mi sono rimaste impresse nella mente e subito dopo aver chiuso la telefonata ho detto a monsignore: “Ho paura che non vada tanto bene… è la prima volta che Suor Primarosa mi dice che non sta bene”. ovviamente la mia non era una valutazione medica (il quadro clinico non era confortante) ma era solo di impressione. Per una che non si lamenta mai, qual “non va tanto bene” era più che una impressione…
Monsignor Capovilla, pur essendo uomo che capiva e aveva visto di tutto,. un barlume di fiducia l’aveva, non aveva perso la speranza di vederla tornare, si affidava e pregava.
Purtroppo la mattina sento suonare il telefono alle cinque e subito ho capito che non ci sarebbero state buone notizie da chiunque fosse dall’altra parte della cornetta. Monsignore a fatica, tra pianto e singhiozzo, è riuscito a dirmi : ” Ivan mi hanno chiamato…. è morta questa notte Suor Primarosa”. Non riusciva a dire altro. Ha riattaccato. Io mi sono vestito e sono corso a Camaitino dove stavo per celebrare la messa. Hp portato la telecamera e per fortuna. Le sue omelie erano sempre.splendide ma quella è stata un capolavoro di amicizia e umanità. Scriverò poi qualche passaggio di quella omelia, o meglio trascrivere, ma è solo nel sentire la sua voce e vedere la sua espressione che per davvero si puo capire l’ unione spirituale tra i due. Istanti di Paradiso
CINQUANTADUESIMO ANNIVERSARIO DELLA CONSACRAZIONE EPISCOPALE
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GRAZIE CITTA’ DEL VASTO
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26 MAGGIO 2019 -TERZO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL CARDINALE CAPOVILLA
Questo opuscolo l’ho dedicato a Suor Primarosa Perani, una grande Donna, una grande suora. Lei fa onore al Beato Palazzolo e Madre Teresa Gabrieli, fondatori dell’ordine al quale apparteneva. Ora è in cielo con loro.
23 MAGGIO 2019
79° anniversario di sacerdozio di Mgr Loris Capovilla.
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“I Cattolici e gli Ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli… Angelo Gius. Roncalli, 27 luglio 1926”
In occasione del viaggio di Papa Francesco dal 5 al 7 maggio 2019 in Bulgaria mi piace ricordare un episodio riguardante monsignor Capovilla.
La Bulgaria mi è cara perché da sempre associo questa bella nazione al titolo arcivescovile di monsignor Capovilla, avendolo conosciuto già col titolo di “Arcivescovo di Mesembria”. Lui aggiungeva spesso a voce “la perla della Bulgaria”. Ne andava fiero, amava la Bulgaria e soprattutto ricordava il legame sempre forte di Angelo Giuseppe Roncalli con quella terra, con Re Boris e la Regina Giovanna.
Proprio per mantener sempre vivo il suo ricordo, ha chiesto e ottenuto da Paolo VI lo stemma, il motto e il titolo di Roncalli. Ogni qualvolta avesse firmato un documento o si fosse presentato, monsignor Capovilla avrebbe ricordato il titolo che era di Roncalli e lo avrebbe sentito come accanto a sé. Questo è un concetto di monsignore, che più volte ha espresso, ma non solo a me naturalmente.
Una richiesta nata non da un capriccio, ma da un senso di affetto e lealtà che era iniziato nel 1953 a Venezia e si è concluso, solo su questa terra , il 26 maggio 2016.
Uno dei primi racconti che mi fece proprio per delinearmi il carattere di Roncalli di quegli anni come Delegato Pontificio, era la risposta che aveva dato ad un giovane ragazzo , Christo Morcefky, il 27 luglio 1926, che gli chiedeva un aiuto per essere ammesso al Seminario: il ragazzo sarebbe stato disposto anche a diventare Cattolico ma qui vediamo che Roncalli non vuole “strappare” un ragazzo ortodosso per portarlo dalla propria parte, quasi ci fosse una corsa a chi ne prendesse di più degli “altri”, ma gli dice di continuare gli studi nel suo Seminario con parole che incantano. Di quella lettera trascrivo alcune righe che Capovilla mi ripeteva, anche leggendole a volte e mi pare di risentirlo con la sua voce: “.. . mio caro amico. Poiché però ella me ne dà l’occasione, lasci che io la inviti, come ho sempre fatto con tutti i giovani Ortodossi che ebbi il bene di incontrare in Bulgaria, ad approfittare degli studi e della educazione che ella riceve nel Seminario di Sofia. I Cattolici e gli Ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli. Abbiamo la stessa fede; partecipiamo agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima Eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla Costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli. Lasciamo le antiche contese, e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi. […] Angelo Gius. Roncalli- Visit. apostolico”.
Monsignore si soffermava su quel:”Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli”. La grandezza di Roncalli, diceva, era di aver capito che non si poteva guardare al futuro con lo sguardo rivolto alla punta delle scarpe. Si doveva guardare avanti e percorrendo due strade, solo apparentemente diverse per ciò che appunto li divideva, si sarebbero comunque incontrati un giorno di fronte all’unico Dio.
Rimanevo sempre incantato dal suo racconto. Appena troverò il video, dovendone visionare centinaia, lo caricherò per quanti avranno il piacere, la voglia, o anche solo al curiosità di vederlo e sentirlo direttamente dalla sua voce.
I legami di Roncalli con la Bulgaria sono durati per tutta la sua vita ed è commuovente leggere, in una lettera manoscritta che ho trovato tra le carte di monsignore (relative al faldone BULGARIA), indirizzata a Roncalli, in cui la Regina Giovanna si rivolge così al Nunzio a Parigi in quel momento, ma in procinto per il nuovo incarico.a Venezia, datata 21.1.1953: «Caro “Monsignore”. Mi permetta di chiamarla come negli anni felici di Sofia, ma nello stesso tempo dirle quanto (sottilineato) sono stata felice della sua nuova missione!». La lettera è bordata a nero, come annota monsignore Capovilla , per la recente morte della Regina Elena (1952), e lo annota su una busta dove lo stesso Roncalli, scrive a mano su due righe (copia originale): Lettera della Regina Giov. di Bulgaria.
Nel 2015, quasi come una profezia nel preannuncio del viaggio odierno, monsignore aveva titolato il pieghevole del natale 2015 con “NATALE 2015 con Papa Francesco” che riportava l’omelia di addio alla terra di Bulgaria di mons. Roncalli del 25 dicembre 1934. Vi confesso che l’idea di questo brano era stata mia, ma solo per una ragione, e cioè che eravamo in ritardo con gli auguri di Natale. Monsignore era amareggiato ma il lavoro in quell’anno e mezzo dopo il cardinalato era stato enorme. Non avevamo avuto il tempo di preparare un progetto ad hoc. Mi viene in mente quindi quel discorso che mi aveva letto molte volte ed io alcune volte a lui. Non ricordo cosa gli dissi esattamente, ma gli dissi semplicemente qualche cosa del tipo: “Perché Padre non trascriviamo l’omelia di Roncalli al suo addio alla Bulgaria?”. Fu contento dell’idea e ritrovò la sua solita illuminazione per completare al meglio il lavoro. Il pieghevole lo mandammo via email per la stampa il 16 dicembre 2015, ma poi riuscimmo comunque a spedirne moltissimi nei giorni appena prima del Natale. Allego il pieghevole per quanti vorranno leggerlo per la prima volta o rivederlo, se hanno già la copia in originale.
27 aprile 2019, quinto anniversario della canonizzazione di Papa Giovanni XXIII
Il giorno in cui venne annunciata la data di canonizzazione di Papa Giovanni, mi trovavo con monsignor Capovilla. Eravamo in piedi attorno al tavolo di lavoro, preparando varie carte, e abbiamo sentito dalla televisione la data del 27 aprile 2014.
Monsignore accoglie la notizia con la sua solita tranquillità: ripeteva spesso, infatti, che per lui – e per molti – Papa Giovanni era già santo, ma certo era determinante il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa.
Lo guardo e gli dico subito: «Che coincidenza , Padre, ha aspettato più di cinquant’anni per sentire questo annuncio e, tra tutti i giorni possibili, è capitato proprio in quello del compleanno di sua mamma Letizia». Monsignore rimane per qualche secondo in silenzio e poi mi guarda e dice sorridendo: «Hai ragione, non ci a vevo pensato! non mi è venuto subito in mente, ma è una bella cosa».
Gli ho detto ancora: «Questa coincidenza mi sembra quasi un ‘ritorno di cortesia’ per le parole e il pensiero che Papa Giovanni aveva avuto per mamma Letizia e anche nei suoi confronti quando, negli ultimi giorni, vedendola stanco e senza forze, le disse: “Quanto tutto sarà finito, torna dalla tua mamma che è da tanto tempo che non la vedi”. Mi pare quasi un segno del Papa e di sua mamma per indicarle che le sono sempre vicini».
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Monsignore volle trascorrere quel 27 aprile «in silenzio e preghiera». Avevamo avvisato i giornalisti, che numerosi richiedevano interviste, che per quel giorno non ce ne sarebbero state, e così gli amici di non venire per rispettare quel suo momento di raccoglimento.
Abbiamo trascorso la giornata da soli, dalla mattina alla sera; lui fece solo due telefonate. Di quel giorno ho molto materiale audio e video che testimonia l’intensità di come monsignore visse quell’evento, quella giornata così carica di ricordi. C’è una foto in particolare che mi è cara, quella in cui lui è di profilo, rivolto verso il televisore su cui appariva l’immagine di Papa Francesco e di Papa Giovanni , in una suggestiva prospettiva; che tuttavia non pubblicherò per rispettare la riservatezza con cui ha voluto vivere quel giorno.
Riporto invece questa immagine-reliquia sulla quale monsignore appose la firma subito dopo la proclamazione di San Giovanni XXIII. Lo scrive e lo specifica quasi a sancire quel momento :«Prima firma del novello Santo», intendendo ovviamente, la sua firma, vergata molte altre volte su quella stessa immagine, ma ora, per la prima volta, con Papa Giovanni Santo.
Nella sezione SCRITTI, DISCORSI,PIEGHEVOLI, troverete anche quello fatto.nel 2014 in occasione di questo evento.
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21 aprile 2019, Pasqua di Resurrezione
Auguro a tutti i lettori una buona e serena Pasqua con questa immagine di monsignor Capovilla che celebra l’Eucaristia, memoria del sacrificio di Cristo.
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12 aprile 2019
Il cardinale Roncalli per monsignor Capovilla
La sera del 12.IV.2014, monsignor Capovilla firmando un libro per fare una dedica, in una mia ricorrenza, si confonde. Per la prima volta da quando è diventato cardinale anziché mettere il suo cognome stava per scrivere quello di Roncalli.
Lo rivedo chino sul libro, con il suo pennarellino nero in mano a siglare quella pagina ma, mentre sta per scrivere il cognome mi accorgo dell’errore e non faccio a tempo a intervenire che lui dopo la prima “elle”, si ferma , mi guarda con quegli occhi così pieni di gioia e di vitalità e sorride dicendo: “Quando penso al titolo di cardinale, mi viene in mente sempre Roncalli. Sapevo che prima o poi sarebbe successo” . Ho riportato velocemente su un biglietto, di getto anche le mie impressioni che poi ho incollato su quel libro, mettendolo da parte come copia preziosa.
Un lapsus come scriverà lui stesso. Il primo lapsus. Sì, perché per altre due o tre volte, che conservo anche su altri documenti, che ora a memoria non so quantificare con certezza, commette questo sbaglio.
Gli replicai dicendo che in ogni occasione era un modello di fedeltà e servizio a Papa Giovanni. Nonostante i decenni passati … nella sua mente Roncalli era sempre presente, ogni giorno, ogni ora della sua giornata. Che esempio di fedeltà! Mgr Capovilla è davvero, come ho scritto più volte, anche a lui nelle nostre corrispondenze “Amicus fidelis, protectio fortis”.
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11 APRILE 1963 – 11 APRILE 2019
Oggi ricorre il cinquantaseiesimo anniversario dell’Enciclica Pacem in terris promulgata e voluta ardentemente da Papa Giovanni XXIII. Uso proprio questo termine “voluta” perché monsignor Capovilla raccontava che c’erano delle resistenze sull’uscita di questo documento storico e alcuni cercavano di rallentarlo dicendo: “Santo Padre, ci sarebbe il latino un po’ incerto …”. Papa Giovanni che era però un uomo molto pratico ha risposto che a lui non sembrava così incerto ma che comunque desiderava che quel documento venisse alla luce. Così è stato.
Oggi volevo far conoscere il volume originale, che ha accompagnato il cardinale Capovilla durante la sua vita, sul quale ha studiato, meditato e letto al Papa stesso più volte alcuni passaggi in esso contenuti; un compagno di lavoro insomma come scrive lui stesso sulla pagina iniziale dopo la copertina l’11 aprile 2013, l’Anno della Fede, nel cinquantesimo anniversario dell’Enciclica.
© copyright immagini Ivan Bastoni
Ho ascoltato molte volte il racconto di come si è sviluppata nel tempo l’idea di questo grande messaggio di pace universale, ma solo la voce di monsignore può davvero far sobbalzare il cuore. Il calore con il quale raccontava, l’entusiasmo e l’amore nel far rivivere i suoi momenti io non sono in grado di trasmetterveli. Pubblicherò dei video man mano che il sito si svilupperà e allora si avrà, per chi non l’ha conosciuto di persona, il senso del suo entusiasmo. Lui centenario con uno spirito e una forza di un fanciullo.
Per chi ama i documenti posso garantire che aver potuto toccare direttamente documenti passati dalla mani di monsignore è una emozione, soprattutto per l’affetto e i ricordi che scaturiscono in me, ma quelli che sono stati toccati anche da Papa Giovanni oltre che dal suo segretario, ti trasmettono emozioni ancora più profonde. Mi fanno pensare al senso di lealtà e di amicizia che c’è sempre stato tra questi due grandi uomini.
Allego il pieghevole che proprio nel 2013 monsignor Capovilla ha fatto in occasione del cinquantesimo di Pacem in terris.
Pieghevole Pacem in terris 11 aprile 2013 – Pagine pari
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sabato 26 marzo 2019
San Pietro di Feletto: inaugurato il sentiero di Papa Giovanni XXIII
Un anello di 4 chilometri, con partenza dalla millenaria Pieve, ripercorre il cammino del Papa buono che, quando era ancora Patriarca di Venezia, si recava in zona per trascorrere momenti di meditazione e preghiera
Un sentiero dedicato al ricordo del Papa buono. Si sviluppa per 4 chilometri tra le colline di San Pietro di Feletto, nel Trevigiano, dove il futuro Papa Giovanni XXIII, quando era ancora Patriarca di Venezia, tra il 1953 e il 1958, amava trascorrere alcuni periodi di riposo e di riflessione, passeggiando tra castagni, carpini e viti. Il sentiero di Papa Giovanni XXIII è stato inaugurato sabato, a San Pietro di Feletto, alla presenza, tra gli altri, del vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, del sindaco di San Pietro di Feletto, Loris Dalto, e del presidente del Comitato Papa Giovanni XXIII, Alberto Stocco.
Il ricordo della presenza del Santo Padre a San Pietro di Feletto è suffragato da un documento ufficiale del Cardinale Loris Francesco Capovilla, suo Segretario personale, nel quale si parla dei soggiorni del Cardinal Roncalli sulle colline del Felettano. Gli anziani del posto ricordano come spesso il futuro Papa si recasse a piedi sino alla “terrazza panoramica” della chiesa di Rua di Feletto, intrattenendosi amabilmente, fuori da ogni protocollo, con la gente che incontrava lungo il cammino. L’idea della definizione di un sentiero naturalistico, storico, culturale e spirituale, intitolato al Papa buono, parte da qui. E si è sviluppata, sin dall’autunno del 2013, grazie alla ricerca storica e documentale del Comitato Papa Giovanni XXIII, affiancato dall’amministrazione comunale di San Pietro di Feletto e dal prezioso contributo di un insigne ricercatore locale, monsignor Nilo Faldon, sacerdote della Diocesi di Vittorio Veneto scomparso nel 2016.
Il sentiero di Papa Giovanni XXIII prende avvio dall’antica Pieve di San Pietro di Feletto, nei cui pressi sorge la Villa Patriarcale (originariamente di proprietà della Contessa Maria Walter Bas e poi acquisita dal Patriarcato di Venezia per lascito testamentario), in cui il futuro Papa risiedeva nei periodi di soggiorno in paese. Muovendosi in senso orario, il sentiero prosegue in via Roncalli e verso il “Roccolo”, uno dei luoghi che il futuro Papa amava di più, perché, circondato dal verde e immerso nel silenzio, ben si prestava alla meditazione e alla preghiera nei momenti di sosta del suo cammino. L’itinerario prosegue nel verde delle colline, lasciando ammirare la dorsale di Manzana e la collina di Formeniga, sulla cui sommità sorge la chiesa di San Pancrazio. In secondo piano, da sinistra a destra, le colline di Tarzo e del Vittoriese con sullo sfondo le Prealpi Trevigiane: Il Col Visentin, il taglio della Val Lapisina, il monte Pizzoc e il Cansiglio. Verso est, poi, si estende la pianura veneta orientale e quella friulana.
E’ un panorama rurale, in cui un reticolo di coltivazioni a vigna si alterna a macchie di bosco e a piccolo borghi, collegati da strade che si inerpicano sulle colline. Una di queste è il famoso Muro di Ca’ del Poggio, impegnativa salita, nota a livello internazionale nel mondo del ciclismo, nelle cui vicinanze il sentiero di Papa Giovani XXIII imbocca lungo la via dei “100 gradini”, preludio al ritorno del cammino al punto di partenza. Alla vigilia della cerimonia di inaugurazione del sentiero è anche giunta una lettera da parte di Ivan Bastoni, per tanti anni Segretario personale del Cardinale Loris Francesco Capovilla: “Monsignor Capovilla – scrive Bastoni – era molto contento di questa vostra iniziativa perché la sentiva sincera, pulita, diversa. Animata e ispirata da una volontà genuina. Camminare ripercorrendo i passi fatti da un santo uomo può aiutarci a immaginare quali potessero essere anche i suoi pensieri nel percorrere quel tratto di strada, un modo per staccarci dalla frenesia della quotidianità che non ci permette più di fermarci a pensare e godere di quanto già abbiamo”.
E’ l’itinerario di Papa Giovanni XXIII, ma da oggi – grazie al lavoro di sistemazione dei sentieri, ora illustrati pure da apposite tabelle – è anche l’itinerario di tutti coloro che, oltre mezzo secolo dopo le passeggiate del Cardinal Roncalli, vogliono immergersi nella natura silenziosa e nei meravigliosi panorami delle colline di San Pietro di Feletto.
San Pietro di Feletto, 23 marzo 2019. Articolo pubblicato on line e Copyright TREVISOTODAY
Nell’Abbazia di Sassovivo, i Piccoli Fratelli custodi fedeli della camera da letto e dello studio del cardinale Capovilla
L’Abbazia di Sassovivo concentra in sé molteplici significati. Una storia di mille anni che ha visto il passaggio di generazioni, di ordini religiosi, di uomini di Dio che l’hanno abitata. Luogo di preghiera, di cultura, di pace (dal 2010 è stata riconosciuta come monumento “Patrimonio testimone di una cultura di pace UNESCO”), di comunione tra le Chiese ( ha custodito per secoli la reliquia del teschio di san Marone, fondatore della Chiesa Maronita del Libano). Recentemente, grazie alla presenza dei Piccoli Fratelli di Jesus Caritas di Charles de Foucauld, che vi abitano dal 1978, l’abbazia si è arricchita anche di qualcosa che a Sassovivo rappresenta una memoria significativa del Concilio Ecumenico Vaticano II. La confidenza filiale di fratel Gian Carlo con il santo Papa Giovanni XXIII e con il suo fedele segretario mons. Loris Francesco Capovilla (1915-2016), è stata un filo conduttore significativo e provvidenziale che ha caratterizzato il cammino dei Piccoli Fratelli di Jesus Caritas.
Mons. Capovilla in particolare è stato una presenza fedele che ha accompagnato nei momenti più lieti e i passaggi più delicati, in cinquant’anni dal loro inizio, la vita di Jesus Caritas. Trent’anni fa, il 25 gennaio del 1989, arrivava a Sassovivo l’allora Delegato pontificio del santuario di Loreto, mons Capovilla, in occasione della presa della croce di fratel Wilfried. Dopo aver celebrato l’Eucaristia, don Loris (come in comunità lo chiamavamo familiarmente) ci raccontò del 25 gennaio 1959 in cui, precisamente trent’anni prima, nella tarda mattinata, Papa Giovanni XXIII annunciò per la prima volta ai cardinali, nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura, l’idea di un Concilio che avrebbe radunato tutti i vescovi della Chiesa Cattolica e che avrebbe segnato, come avvenne dopo, la storia della Chiesa e, in un certo qual modo, quella di tutta l’umanità. Col passare del tempo, e dopo la morte del santo papa, il suo segretario – divenuto poi arcivescovo prima a Chieti e poi Delegato pontificio a Loreto – ha continuato ad essere la memoria vivente del Vaticano II, richiamando vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, allo spirito di quell’evento che ha rappresentato per la Chiesa un «aggiornamento» e allo stesso tempo, una riscoperta autentica delle proprie radici. Fratel Gian Carlo ha custodito con grande attenzione ogni scritto, biglietto, augurio, inviato da don Loris nel corso degli anni e via via non ha mancato di farlo diventare pane quotidiano per la riflessione di tutti i Piccoli fratelli di Jesus Caritas e storia della comunità. Nel 2014 Papa Francesco ha nominato il venerando arcivescovo, ormai centenario, cardinale con il titolo presbiterale di Santa Maria in Trastevere a Roma. L’ultimo biglietto ricevuto da fr. Gian Carlo a firma del neo cardinale dopo alcuni mesi da questo inaspettato evento recitava: «Prego, leggo, scrivo (non molto), amo e abbraccio tutti…» E le sue ultime parole a fratel Gian Carlo nella telefonata pochi giorni della morte: «Vi ho sempre voluto bene e ve ne vorrò ancora di più…». L’amicizia con Capovilla si è allargata a quanti lo hanno aiutato e sostenuto nel suo essere presenza amante, a volte critica nella Chiesa, in particolare nell’amicizia nata anni fa con il suo fedele segretario, l’amico Ivan Bastoni.
Renzo Barbato.
Negli ultimi giorni del 2018 abbiamo ricevuto da lui in dono i mobili che costituivano l’arredamento, molto semplice, di due ambienti importanti per la vita di don Loris: il suo studio e la sua camera. Così in abbazia è stato creato uno spazio dedicato alla sua memoria ed in particolare a quella del Concilio ecumenico Vaticano II. Lo scorso 25 gennaio i Piccoli fratelli di Jesus Caritas si sono ritrovati per un breve momento di preghiera in occasione dell’inaugurazione dei “nuovi” locali, ambienti semplici ma pieni di memoria affettuosa e che ricorderanno a tutti il coraggio e l’audacia del santo papa Giovanni XXIII – semplice nei modi, ma acuto e lungimirante, guidato sempre dallo Spirito – e allo stesso tempo perpetueranno la memoria dell’antica amicizia stretta con il cardinale Loris Francesco Capovilla. Così i Piccoli fratelli non mancheranno di perpetuare la memoria della sua “seconda vocazione”, espletata nella Chiesa per vari decenni: ricordare al mondo l’attualità e l’imprescindibile importanza per la Chiesa del Concilio Vaticano II. fratel Marco Cosini jc
ANNUNCIO DEL CONCILIO
Ho mostrato al giornalista Carlo di Cicco tre pagine inedite e particolarmente preziose dell’agenda 1958 del cardinale Capovilla, riguardanti le prime confidenze di Papa Giovanni al suo segretario, circa la volontà di indire un nuovo Concilio. Ne è nato un articolo per ricordare appunto l’evento del Vaticano II, pubblicato sul sito Tiscali.it il 27 ottobre 2018. Carlo di Cicco era stimato e apprezzato dal Cardinale e mi è parso giusto affidare queste pagine alla sua sensibilità.
“Ci vorrebbe un concilio”. Così Papa Giovanni fece nascere l’assemblea che cambiò la storia della Chiesa
Nelle agende del cardinale Capovilla, allora segretario di Roncalli, si documenta che papa Giovanni non parlò la prima volta del concilio il 25 gennaio 1959, ma pensava di farlo sin dalla sua elezione a fine ottobre 1958. A Capovilla lo confidò per primo.
“Ci vorrebbe un concilio”. Parola di papa Giovanni, confidata al fedele segretario Loris Capovilla che riporta nelle sue agende del 1958 i tre cenni al concilio a lui affidati dal papa iniziati addirittura il 30 ottobre, soltanto due giorni dopo l’elezione che era avvenuta la sera del 28 ottobre. La prima comunicazione ufficiale dallo stesso pontefice avverrà il 25 gennaio 1959 in una sala del monastero benedettino annesso alla Basilica di san Paolo fuori le mura. Quell’annuncio è rimasto scolpito nella storia poiché lasciò attoniti e increduli presenti e lontani: nessuno poteva immaginare come tutto sarebbe cambiato nella Chiesa cattolica, ma anche nel rapporto tra le varie religioni e chiese cristiane dopo la conclusione di quell’evento.
Non è un caso che il concilio, fin dal primo annuncio è stato oggetto di accurati e molteplici studi e ricerche storiche e che papa Giovanni oggi santo sia stato un grandissimo papa avendo convocato e avviato il concilio più grande della storia. Se quasi tutto finora era stato scoperto, meno chiare ne sono state le origini nel cuore e nella mente di Roncalli, il figlio di contadini diventato successore di Pietro.
Lo stesso Capovilla aveva fatto cenno in alcune circostanze a generiche anticipazioni sull’origine del concilio, anche perché lo stesso Giovanni XXIII ne aveva parlato con il cardinale Ruffini in novembre ma nessuno finora aveva una qualche documentazione scritta sui propositi del successore di Pio XII.
Tiscali.it è in grado, finalmente, quasi alla vigilia del sessantesimo anno dell’annuncio straordinario di Giovanni XXIII, di mostrare i primissimi documenti scritti che rivelano e confermano come l’idea di voler fare un concilio Giovanni XXIII l’avesse nel cuore dal primo momento da papa, sebbene non ne avesse parlato apertamente con alcuno e non fosse una pubblica notizia.
La fonte che consente agli storici di fissare la nascita dell’idea conciliare di Roncalli subito dopo l’elezione a vescovo di Roma sono le agende di Capovilla, morto da cardinale centenario nel 2016 ma che allora era il segretario fidato del patriarca di Venezia voluto anche da papa.
I giorni successivi all’elezione di un papa sono giorni intensi e convulsi e non c’è tempo neppure per un segretario scrupoloso e puntuale come era Capovilla di dilungarsi nel documentare gli avvenimenti e le parole del nuovo papa.
E così i tre cenni riportati nell’agenda dell’autunno 1958, fissano il fatto annunciato, lasciano intendere la sorpresa e anche una certa incredulità del segretario a motivo delle circostanze che non avrebbero mai ispirato un progetto tanto ardito in un uomo di 77 anni se quell’uomo non si fosse chiamato Giovanni XXIII. Nessuno immaginava la svolta che aveva in animo e come quella svolta avrebbe arato in profondità la storia della Chiesa.
Gli appunti di Capovilla venivano vergati sull’agenda la sera quando sceglieva parole e gesti ritenuti significativi. Sentire dal papa parlare di concilio come di una possibilità cui stesse pensando lo aveva gettato nel panico perché si rendeva conto che si trattava di una vera impresa.
La prima volta in assoluto che la parola concilio viene riportata la sera del giovedì 30 ottobre 1958. Si tratta di una sola parola, seguita da un interrogativo. Scrive Capovilla con inchiostro azzurro chiaro: “La prima parola dopo il rosario: il CONCILIO (sic nel testo – ndr), ma en passant, da storico”. Non va infatti dimenticato che Roncalli era un esperto di storia della Chiesa e aveva dato alle stampe alcuni volumi interessanti sull’azione pastorale di san Carlo Borromeo che tanto si era prodigato per l’applicazione del Concilio di Trento.
Ma Capovilla aggiunge un indizio molto interessante tornando a utilizzare l’inchiostro scuro e mettendo le parole tra parentesi (due giorni di conversazioni con i cardinali portano a galla un’idea?). Si delinea qui la schermaglia tra Roncalli e il segretario cui il papa confidava tutto magari quasi per registrare le prime impressioni che suscitavano le sue idee piuttosto insolite in un pontefice. Papa Giovanni che sognava scenari grandiosi e il segretario preoccupato che sollevava dubbi prudenziali poiché le visioni giovannee lo turbavano non poco.
Ma la storia di un’idea era solo all’inizio. L’agenda torna a riparlarne tre giorni dopo, il 2 novembre, domenica dedicata ai defunti. Dopo aver annotato il viaggio di ritorno da Venezia, Capovilla torna sulla storia del concilio. “Un Concilio? [Grande parola. Pare che il seme debba essere gettato. Resto assorto quando alle 22 il papa me ne parla]. Stamane deve averne parlato col card. Ruffini”.
L’ultimo riferimento al concilio in agenda si trova il 20 dicembre, poco più di un mese prima del grande annuncio pubblico.
“Deliziosa lezione – scrive Capovilla – : … solo quando avrai messo il tuo io sotto i piedi, sarai libero…”. A proposito del Concilio!”.
Si tratta davvero di una preziosa lezione che il papa ripete al suo segretario ancora titubante si vede di fronte a quella grande idea che Giovanni ha preso sempre di più come una ispirazione dall’alto e che pensa sia realizzabile solo con l’aiuto di Dio e l’accompagnamento dello Spirito Santo. Il papa infatti aveva coscienza di tutte le obiezioni che Capovilla frapponeva, ma più pensava a quella ispirazione ardimentosa più si andava convincendo che andava realizzata proprio perché da solo non ne sarebbe stato capace.
A tanti anni di distanza, avendo a disposizione tanti documenti di quello che si sarebbe svolto e considerando quanta resistenza il concilio ha suscitato nella Chiesa, si può sostenere che senza un sostegno dall’alto la grande idea sarebbe fallita. E invece quell’idea è stata così feconda che oggi si assiste all’azione di un papa dal nome di Francesco che le grandi visioni di Giovanni XXIII sta a mano a mano realizzando.
Carlo Di Cicco, 27 ottobre 2018
© copyright immagini Ivan Bastoni