Don Loris
1. Conobbi Don Loris Capovilla a Venezia nei primi anni del dopoguerra: una conoscenza anticipata da mia madre (Rita De Felip), che ne ascoltava i commenti del Vangelo domenicale alla radio RAI del Veneto. Anche nostro padre Angelo Boato, che si considerava agnostico, quando lo conobbe provò grande simpatia verso questo prete umanamente sensibile e aperto al dialogo, colto e interessato alla storia.
È stato mio insegnante di religione al Liceo scientifico Benedetti dal 1952 al 1956. Era molto attento alle differenze di opinione e di status sociale. In classe c’era il figlio di un partecipante alla marcia su Roma, abituato ad espressioni, tipiche del fascismo, come “Dio stramaledica gli inglesi” e alcuni rifugiati italiani da Cipro, dall’Istria e Dalmazia e due ebrei veneziani.
Nella scuola egli esprimeva i suoi valori misurati sui Vangeli e confrontati con la realtà quotidiana con qualche venatura savonaroliana e l’ispirazione ecologica e anticonsumistica. In classe sottolineava l’inopportunità di sostare alla fine dell’orario scolastico per aperitivi, cicchetti e altre finezze costose, possibili solo a una minoranza di figli di famiglie ricche.
Don Loris pareva avere la sicurezza di un metodo nell’approccio con giovani studenti. “Nell’educazione ciò che conta è superare l’età dei venti-venticinque anni senza deviazioni da un percorso di realizzazione personale”. La paternità spirituale, in una rigorosa concezione formativa, si attuava nei contatti con amici e familiari al di fuori della scuola.
2. Fra i numerosi giovani di Venezia e dintorni che partecipavano a questi incontri con Don Loris ricordo Renzo, Gianfranco e Teresa (Resi) Barbato, Ettore e Lucia Vio, Dino e Franca Gigante, Roberto Badiello, Franco Polacco, Giuseppe e Marisa Boccanegra, Marino Cortese, Piero Vernier, oltre a qualche fratello e sorella minori, fra cui mio fratello Marco.
Ho faticato ad accettare una concezione di Chiesa come “società perfetta” e mi pesava considerare l’obbedienza come un imperativo. Non ammettevo l’allineamento dei papi del Novecento a una supposta santità. Soltanto Giovanni XXIII ritenevo avesse le “credenziali” per una proclamazione senza remore, che tuttavia è arrivata molto, troppo tardi, solo nel 2014, ad opera di papa Francesco.
Nel 1953 Angelo Giuseppe Roncalli fu nominato patriarca di Venezia. Portò un vento nuovo nella città: sollecitò tutti a superare i preconcetti e le divisioni sul piano umano, religioso e politico. Don Loris fu un ottimo segretario–collaboratore del patriarca oltre che lettore e studioso della storia di Venezia e della Chiesa. Inoltre conosceva bene il francese e la sua letteratura, il latino anche in chiave comunicativa fra sacerdoti e religiosi in molti paesi, l’italiano e il dialetto veneziano naturalmente. Aveva anche qualche dimestichezza con la letteratura tedesca e centro-europea e in particolare con la musica di Ludwig van Beethoven. Ma “scoprì”, amò e diffuse pure la musica di Antonio Vivaldi, allora poco conosciuta. Ricordo in particolare il Gloria, il Beatus Vir e il Magnificat.
3. Nel 1958 Don Loris seguì il neo eletto papa Roncalli, rinnovando il suo impegno totale e la dedizione al suo servizio. Prima di lasciare Venezia, l’ultimo suo gesto tacito fu il dono di molti suoi libri agli amici studenti e non. Un esempio che mi influenzò successivamente, quando la biblioteca accumulata nella casa di Trento, inseguendo svariati interessi, poté ridimensionarsi con la donazione di una parte di essa ad alcune istituzioni pubbliche.
Durante il quinquennio giovanneo 1958-63 andai a trovarlo, intensificando il rapporto amichevole e le conoscenze della geografia e dell’arte di Roma e dintorni. In una occasione, insieme a mio fratello Marco, Don Loris ci fece incontrare personalmente papa Giovanni in un emozionante colloquio privato. Lo stesso papa Giovanni, tramite Don Loris, mi invitò insieme al musicista veneziano Giuseppe Boccanegra a un concerto in Vaticano tenuto dal grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli. Fu una serata magica, indimenticabile; terminata con un “duello” tra un tuono possente che aveva scosso la grande sala, interrompendo il concerto, e l’immediata ripresa del pianoforte con una scarica vertiginosa di note che sfociarono in un grandioso “Dies Irae”. Fu anche la conferma dell’importanza che Don Loris e lo stesso papa Giovanni davano alla formazione culturale.
Nel 1966 vissi un anno a Roma e quindi potei riprendere il contatto regolare con lui e con Carlo e Tina Fido, veneziani, anche loro suoi amici, che vivevano e lavoravano a Roma con due figli adottivi. Tra altre conoscenze rivelatrici della sua sensibilità e statura culturale mi toccò particolarmente la figura di Giacomo Manzù, scultore, da taluni considerato non credente, che lasciò un’impronta straordinaria anche in ambito religioso.
4. Don Loris, dopo la morte il 3 giugno 1963 di papa Giovanni, resta per quattro anni in Vaticano. Non appena terminato il Concilio (1965), la linea officiosa dell’apparato è non aderire alla riforma e recuperare il controllo dell’insieme dottrinale e gerarchico. Don Loris in Vaticano per alcuni diventava scomodo e questo, paradossalmente, per la sua statura morale, il suo spessore culturale e le doti organizzative e comunicative. In ogni caso papa Paolo VI gli propose una diocesi. Non fu accolta la sua proposta di tornare in area veneta o viciniore. Venne nominato arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto. Le sue attese e il suo impegno pastorale per l’applicazione del Concilio si scontrarono con un ambiente conservatore sul piano culturale e religioso che provocò in lui non poca amarezza e delusione, ben dissimulate.
Anche il successivo ultimo incarico come delegato pontificio nel santuario di Loreto si risolse con il rifiuto burocratico alle ragioni di Don Loris. Questa visuale ristretta e incapace di volare alto mi ricorda atteggiamenti storicamente ripetuti della Chiesa di rifiuto dell’”aggiornamento” giovanneo. L’esperienza di Loreto fu vissuta con impegno e vicinanza partecipata ai numerosissimi malati e pellegrini che lo frequentavano, ma privò Don Loris di quel contatto diretto col mondo giovanile che aveva rappresentato l’esperienza più formativa e creativa della prima fase del suo sacerdozio.
I lunghi anni del suo ritiro a Camaitino di Sotto il Monte (BG) dal 1989 li ha dedicati a tenere viva e far crescere la straordinaria rete di relazioni con gli amici e le numerose persone che a lui si rivolgevano, riconoscendolo come segretario e figlio spirituale di papa Giovanni XXIII. Anni gratificanti per questo poter esprimere quella che è sempre stata una sua dote: tessere dialoghi e proporsi come memoria storica. Quando andavamo a trovarlo era instancabile nel raccontare di persone ed eventi vissuti. Erano sempre inedite lezioni di storia.
Sandro Boato, Trento 20 giugno 2019
Mons. Capovilla è stato un grande uomo e un grande prete
Ho avuto il grande piacere di conoscere Monsignor Capovilla nel 1972 quando avevo 16 anni.
Durante la permanenza a Loreto Mons. Capovilla, sempre impegnato a diffondere la conoscenza di Papa Giovanni XXIII e del Concilio, venne in visita a Nardò, su invito del Vescovo Mennonna, per inaugurare un organo elettronico che i giovani dell’azione cattolica donarono alla Basilica di Nardò e vollero intitolare a Giovanni XXIII. La cerimonia avvenne il 28 ottobre 1972 .
Fu in quella circostanza che conobbi Capovilla e d’allora sono sempre rimasto legato da profonda stima ed affetto.
Ero allora uno giovane scout e la mia associazione era annessa alla Cattedrale. Un pomeriggio mentre ero in chiesa la mia curiosità fu attratta da un Vescovo (Mons. Capovilla) vestito semplicemente con una talare nera che era andato a sedersi nella cappella “del Sacramento” per confessare.
Per me era qualcosa di veramente inusuale perché il nostro vescovo veniva in chiesa sempre vestito con abito tradizionale rosso/viola e mai si metteva a confessare. Dissi tra me e me: voglio conoscerlo. E mosso soltanto dalla curiosità andai a confessarmi da lui. Fu un momento “magico” scambiammo tanti sentimenti e pensieri e ricevetti grande conforto.
Il giorno dopo raccontai la mia esperienza all’arciprete, Mons. Alfredo Spinelli, e fu provvidenziale.
Dopo un po’ di tempo l’arciprete ricevette da Mons. Capovilla una lettera con dentro una busta chiusa indirizzata a “il ragazzo della azione cattolica che ho confessato nella cappella del Sacramento” pregandolo di rintracciare tale ragazzo e consegnargli la busta. L’arciprete ricordandosi del mio racconto mi consegnò la busta. Leggendo il contenuto capii subito che si trattava di me. Risposi alla sua lettera e da allora ci siamo scritti con regolarità. Le sue parole mi hanno aiutato a crescere ed accompagnato nel momento delle scelte e durante tutto il periodo dell’Accademia Militare che scelsi di frequentare.
I contatti epistolari, per mia stupidità, si diradarono dopo l’accademia giovane forse perché preso da tantissimi problemi connessi con il nuovo ruolo di Ufficiale.
Mai però ho smesso di pensare a Monsignore e le lettere divennero telefonate.
Più volte ci siamo incontrati a Ca Maitino e spesso vi ho accompagnato in visita i miei soldati e impiegati civili. Tutti sono sempre rimasti colpiti dalla sua grande semplicità e umanità .
Per tutti aveva sempre una parola di conforto e di incoraggiamento e mai mancava di sollecitarci ad avere rispetto per ogni essere umano senza alcuna distinzione e a non perdere mai la speranza. Sarei stato per ore ad ascoltarlo mentre raccontava della sua vita e di quella del suo Papa Giovanni XXIII; non era un semplice raccontare lui era capace di farti vivere quei momenti e di farti vedere in ogni cosa il grande amore di Dio per i suoi figli.
All’armistizio del’8 settembre del 1943 don Loris era cappellano militare presso l’aeroporto ‘Natale Palli’ di Parma. Compresa la gravità della situazione e mosso dai più alti sentimenti di umanità ed altruismo immediatamente si adoperò per sottrarre quanti più avieri possibile dalla deportazione in Germania salvandone dieci.
Proprio per questa valorosa e umana vicenda il 25 novembre 2011, giornata in cui a Sotto il Monte si ricordava il 130° anniversari della nascita di Papa Giovanni XXIII, presso la sala civica del Municipio, alla presenza del Sindaco e della cittadinanza, ho avuto la gioia, in qualità di comandante del Distretto Militare di Milano di conferire a Monsignore la Croce al Merito di guerra .
Mons. Capovilla è stato un grande uomo e un grande prete e per me una figura fraterna sempre presente nella mia vita a cui devo la mia crescita morale e spirituale e a cui ancora oggi mi rivolgo con fiducia.
Poco tempo prima della sua morte riuscì a parlargli brevemente al telefono e ricordo che concluse dicendomi “ Sergio benedico te, la tua famiglia, Nardò, L’Italia e tutto il mondo” capii con profonda tristezza che non lo avrei più sentito ma ero certo il suo amore per tutti non avrebbe avuto mai fine.
Caro don Loris ti voglio bene.
Gen.B. Sergio LEPORE , Nardò, 15 giugno 2019
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Letizia e Grazia
Il 3 Febbraio 2013, con un sole che finalmente faceva risaltare il paesaggio d’intorno con i suoi monti innevati, arrivai a Sotto il Monte Giovanni XXIII. Con emozione nel cuore mi diressi verso la residenza di Sua Eccellenza l’Arcivescovo D. Loris Capovilla, Segretario particolare di Sua Santità Giovanni XXIII e custode e testimone delle Sua vita. Sbagliai ingresso e mi ritrovai in una minuscola cappella. lasciandomi rapire dalla pace che vi regnava e, poi, entrato in un museo mi si fanno incontro una suora ed il pro-nipote di Papa Giovanni ai quali, disinvoltamente chiesi:
“È possibile salutare l’Arcivescovo?” Mi risponde il pro-nipote: “Lei ha un appuntamento?” “beh, no. … se possibile, vorrei salutarLo” e sempre lui: “mi dispiace, ma l’Arcivescovo non sta molto bene e comunque senza appuntamento non è possibile”. Insisto: “è possibile solo avvisarLo che io sono qui?” Leggo uno sguardo sorpreso nel volto dei due, della serie: “questo infedele forse non ha capito!” ma, alla mia insistenza i due, non rinunciando alla loro cordialità, mi invitano a scrivere il mio nome su di un foglietto e mi pregano di attendere. Qualche minuto di attesa, ma chissà perché ero tranquillo e sicuro che avrei incontrato il “mio Vescovo”, e si riapre quella porta ed il pronipote, con un’espressione da vecchio zio ritrovato, mi dice: “venga, venga l’Arcivescovo la sta aspettando, ma mi raccomando pochi minuti che Sua Eccellenza non sta molto bene”. <Francesco!> … (omissis) Un abbraccio lungo trent’anni. Una stanza studio, modesta nell’arredo, con un grande tavolo al centro dove si vedevano lettere da spedire e scritti sul Papa Buono; il “mio Arcivescovo”, minuto, con i suoi 97 anni, raccolto dentro una poltrona che sembrava regalata da qualche rigattiere che non era riuscito a venderla e con una coperta sulle gambe, di quelle grigio-marrone militare, forse un ricordo di quando è stato cappellano militare. <Come stai, Francesco?> Ha voluto sapere tutto dei miei figli … di cosa stessi facendo, di cosa pensassi del momento storico attuale e “cor ad cor” … quelle stupende riflessioni intercalate, che mi hanno fatto pensare, un attimo, solo un attimo “ma, mi trovo in un collettivo di Tupamaros?” … no, no. Semplicemente di fronte ad un grande Testimone e Profeta:
<<…no, non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a capirlo meglio e a comprendere i molti errori fatti… Si, anche la Chiesa ha le Sue grandi responsabilità … abbiamo dato credito a molti che hanno reso la casa di Dio un mercato e resi mercanti anche uomini di Dio.. … molte cose le serbo per me, non è opportuno riferirle: Ho deciso di non andar mai oltre la semplice e schietta documentazione, memore di estreme parole dette a me, a me solo, da Papa Giovanni il 31 maggio 1963, dopo aver ricevuto il Santo Viatico: Non ci siamo soffermati a raccattare i sassi che, da una parte e dall’altra della strada, ci venivano gettati addosso per rilanciarli; abbiamo pregato, obbedito, lavorato, sofferto; abbiamo perdonato e amato… se uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso (ahi! ..non lo sapevo, ma è una citazione di S.Paolo dalla lettera ai Galati 6,3).. ecco si, troppa approssimazione ed ignoranza hanno lasciato spazio ad opportunisti senza scrupolo…si è dato credito a venditori di Speranza senza futuro, ma la Speranza ha il suo seme nella ragione… deve venire il giorno in cui l’uomo sarà disposto a rinunciare al potere e all’oro per un pò di dolce compassione …>> e tanto altro, come il Suo ricordo degli abruzzesi per i quali si sente “olim pater semper amicus (un tempo padre, adesso e sempre amico)”. Invece di pochi minuti, sono rimasto a chiacchierare con Lui per oltre mezz’ora.
… e poi, alzatosi dalla Sua poltrona: “vieni qui, fatti benedire, figlio mio, per te ed i tuoi cari”
“D. Loris ho delle bottiglie di vino..” “allora, va, va a prenderle! ti preparo qualcosa da portarti”
… oh, si, mi porto la Tua serena testimonianza profetica che al di là della preghiera è necessario amare l’ineffabile dono della vita (Letizia) ed aprirsi alla Verità ed alla Grazia senza remore e senza limiti (Grazia), consapevoli delle nostre ed altrui contraddizioni, certi comunque che è difficile nel <qui ed ora> testimoniare e condividere certe posizioni Profetiche, perché, si sa, i Profeti camminano con un passo troppo lungo e spesso non si riesce a tener loro dietro. … ma, averli conosciuti, permette di poter alzare lo sguardo su quell’oltre che colora i cieli della nostra vita e … oggi, senza pudore, lascio che i miei occhi brillino di gocce di rugiada.
Grazie mio vecchio “amico e Padre”.
Francesco Pollutri, Termoli 14 giugno 2019*
*Ps: la cronaca dell’incontro è stata pubblicata su www.lafonte2004.it nel numero di Marzo 2013.
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QUELLA SUA PRESENZA SEMPRE ATTUALE
A tre anni dalla scomparsa di un cardinale segretario del papa del Concilio Vaticano II
Il 26 maggio ricorrono i tre anni dalla scomparsa, a Camaitino di Sotto il Monte Giovanni XXIII, del cardinale Loris Francesco Capovilla. Una figura grande nella sua umiltà, prima di uomo autentico e poi di prete, di preti come ce sono pochi…i preti di campagna, delle periferie, i preti cari a papa Francesco.
Forse (e si spera) che diverse testate nazionali ricordino tale data di profezia per una Chiesa in travaglio anche al suo interno e in cui Francesco, grande papa, guida, teologo e testimone del Vangelo spesso non trova quella comprensione e adesione che meriterebbe.
Il cardinale Capovilla, segretario di papa Giovanni XIII (ora santo con Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II), è stato esempio di una testimonianza del vivere il Vangelo dei poveri e della vedova, fino ad oltre cent’anni della sua lunga, provvidenziale, lucida e necessaria esistenza. Egli stesso, scelto come segretario personale dal papa del Concilio Ecumenico Vaticano II, provò il dolore della perdita del papà in tenerissima età, insieme con la sorellina e la mamma: la mamma, giovane figlia della terra veneta. Un Veneto che sembra, oggi, aver dimenticato l’essenziale, fatto di vicinanza, solidarietà e sincerità.
Questi invece sono i valori, che chi ha conosciuto il cardinale Capovilla, ha imparato da lui, fino all’ultimo. ”Io faccio parte di questa Chiesa che tante volte dimentica di vivere il Vangelo e sono soltanto un povero prete… “ e anche dopo essere stato elevato alla porpora cardinalizia, da papa Francesco, nel 2014, si faceva chiamare don Loris o, semplicemente, monsignore. Del resto, questa è stata la lezione di vita che ci ha lasciato, oltre i tanti scritti e le opere, tutte da rileggere e da riscoprire e che il giovane Ivan Bastoni, ha in parte curato e divulgato in quelle stanze di Camaitino.
Grazie, don Loris, che oggi riposi a Fontanelle, nel piccolo cimitero, in una tomba, accanto al tuo grande amico di Sotto il Monte, quel padre David Maria Turoldo, che tante volte veniva a salutarti in cerca di una parola che aiutasse davvero a vivere.
Mario Pavan, Vicenza.
Domenica 26 Maggio,2019 Ore: 18:00 (terza testimonianza di un caro amico fedele)
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Mons. Loris Francesco Emilio Capovilla: un prete per amico
Care lettrici e cari lettori, mi presto anch’io con umiltà e allo stesso tempo con un pizzico di sano orgoglio, a scrivere una testimonianza sulla persona di Mons. Loris Francesco Emilio Capovilla, accettando quindi l’invito di Ivan. Ciò che mi accomuna a Don Loris, è il paese d’origine: Pontelongo; e quando lo conobbi nella primavera del 2011 insieme all’ora parroco Don Aldo Manfrin, mi chiese espressamente di spedirgli l’attestato di Battesimo; scoprì così gli altri due nomi: Francesco ed Emilio. Sono un ragazzo di trentadue anni e da cinque ricopro anche la carica di Assessore alle Politiche Sociali e Istruzione; quando conobbi Don Loris ero animatore nella mia Parrocchia. Il 26 giugno 2011, l’emozione aveva il sopravvento su di me e mentre macinavo i chilometri, i miei pensieri stavano immaginando come si sarebbe svolto questo incontro di conoscenza. Sapevo che avrei stretto la mano di un testimone ricco di fede e di cultura, nonché diretto protagonista del Concilio Vaticano II.
I miei compaesani mi avevano raccontato della sua devozione mariana, infatti l’aveva portato più volte a Pontelongo a presiedere la Festa della “Madonna del Voto”, quand’era Vescovo.
Inoltre sposò e battezzò alcuni pontelongani. Arrivato a Ca’ Maitino, una gentile suora ci aprì la porta e disse: “Mons. Loris vi sta aspettando”. Stavo per vivere un incontro straordinario, un momento creato da Dio che mi avrebbe segnato profondamente. Durante le due ore di colloquio, mi colpì il fatto che Don Loris non vivesse solamente di “ricordi”, come possiamo immaginare quando c’intratteniamo con una persona di veneranda età, bensì navigava nell’attualità esprimendo il suo punto di vista sul mondo d’oggi. La bontà e la semplicità trasparivano dai suoi occhi.
Da quel giorno iniziammo una proficua (per me) corrispondenza epistolare, e spesso leggo sul mio diario alcune sue frasi appuntate, pregnanti di fede e di amore per l’uomo.
Qualche tempo dopo, andai a trovare il mio amico Ernesto Olivero, e gli dissi: “Ernesto, sei mai andato a Sotto il Monte ad incontrare Mons. Capovilla?” E gli feci vedere e leggere la fotocopia del Quindicinale “Adesso” di don Primo Mazzolari del 1.3.1959, che parlava dell’apertura del Concilio, e che Don Loris mi spedì qualche tempo prima. Qualche tempo dopo, venni a sapere che Ernesto si era recato a Ca’ Maitino, e la mia esclamazione interiore fu: “Che bello! Due giganti si sono incontrati”. Poco tempo prima che Don Loris venisse a mancare, ricevetti un suo biglietto: “Poco leggo e meno scrivo, però prego, amo e offro quel che Dio ancora mi dà da vivere”. Presenziai al suo funerale in veste “istituzionale”, fu un momento di profonda commozione ma con la sicura speranza che la sua testimonianza continuerà a solcare la storia. Infine, cari amici, desidero salutarvi e ringraziarvi per aver letto queste mie parole con una frase di Don Loris: “Pensare in grande. Guardare in alto e lontano”. Con stima e amicizia,
Alessandro Barbierato – Assessore alle Politiche Sociali e Istruzione Comune di Pontelongo (PD) Pontelongo, 12/5/2019
Fotografie © Alessandro Barbierato
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È SEMPRE VICINO
Anche in questa ricorrenza del 26 maggio rimane più vivo che mai, il ricordo –testamento del “nostro” cardinale. Il suo lungo viaggio terreno è stato un pellegrinaggio di uomo, di fratello prima che di prete, vescovo e cardinale. Anzi il suo annunciarsi sempre con il semplice “don” Loris invitava a sentirsi in comunione sincera dei cuori. È stato il fratello maggiore, quasi un nonno, molto più anziano di tutti noi che abbiamo avuto la grazia di avvicinarlo e di sentirlo sulla stessa strada come i due discepoli di Emmaus. E come a loro Gesù, anche lui ci ha aperto gli occhi. Abbiamo avuto una grande lezione di sincerità, di umiltà, di verità, quella verità che era a sua carta d’ identità. Rara, a volte, in un prete: una verità senza diplomazia, un parlare schietto senza alcun sotterfugio. Monsignor Loris era rimasto l’esile prete veneto, figlio di una terra generosa, anche se forse troppo tradizionalista, ma che egli seppe interpretare nella sua condotta di vita, nelle forme migliori e sempre in linea con “i segni dei tempi”. Questo è forse il dono che ha ricevuto dal “suo” papa, quel san Giovanni XXIII che gli apriva il suo cuore. E monsignor Loris, nella sua persona, ricca d’umanità e di semplicità ascoltava e dialogava, da umile ma deciso segretario e amico. Questi sono stati i veri privilegi dei più amati dal Signore. Non a caso, il suo entrare in un rapporto diretto per tutta la sua lunga vita con migliaia e migliaia di persone, anche dopo la salita al cielo di Giovanni XXIII, è ancora adesso, nel ricordo vivo della sua scomparsa, un segno di grazia. A Ca’ Maitino in quell’angolo di una terra tanto amata e dove si era volutamente messo a disposizione per scrivere, dialogare e testimoniare al mondo la grande lezione del papa del Concilio Ecumenico Vaticano II, mons. Loris vivrà sempre. Grazie al suo giovane amico ed esecutore del suo lascito spirituale, Ivan Bastoni. Anche questo è un piccolo grande segno di bene e di speranza per questa Chiesa, barca di Pietro in difficoltà tra i flutti ma che proprio da Sotto il Monte, con la protezione di san Giovanni XXIII, p. David Maria Turoldo e lo stesso padre (bello questo termine!) Loris Francesco Capovilla, prosegue il suo cammino. Con la preghiera e il sostegno ad un grande papa, Francesco.
Il papa che comprese veramente mons. Loris, nel segno di riconoscenza, espresso con il giusto merito della berretta cardinalizia, al di là di scelte curiali e “diplomatiche , spesso ignote, a noi fedeli laici.
MARIO PAVAN, Vicenza 5 maggio 2019 [seconda testimonianza, molto gradita]
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Ricordo del Card. Loris Francesco Capovilla
Nel 1996 mi venne chiesto di scrivere un profilo biografico del mio illustre concittadino card. Angelo Dell’Acqua, da pubblicarsi l’anno successivo in occasione del 25° della morte. Nella primavera del 1997, la bozza era pronta. La signora Anna Varalli Mosca, zia del cardinale, che mi aveva aiutato fornendomi abbondante documentazione, mi disse: “Mandi la bozza all’Arcivescovo Capovilla, che era molto legato a Dell’Acqua: lui potrà suggerirle qualche correzione e magari farle avere ulteriori documenti”. Seguii il suo consiglio. Il 3 aprile 1997 spedii il dattiloscritto a mons. Capovilla, che da otto anni risiedeva a Sotto il Monte. La mia lettera terminava così: “Se poi Vostra Eccellenza volesse essere tanto cortese da inviarmi una Sua testimonianza sulla figura del card. Dell’Acqua, che Le fu amico, sarebbe per me un grande onore il poterla inserire a coronamento del mio lavoro”.
Per Capovilla io ero allora un illustre sconosciuto: non avevo alcuna referenza, non avevo al mio attivo alcuna pubblicazione. Ma il nome di Dell’Acqua mi bastò per arrivare dritto al suo cuore. Mi rispose il 23 aprile: “Caro Signore, ho letto il “Profilo” e ne sono rimasto commosso ed edificato. Il Cardinale Angelo riappare ai nostri occhi nella sua grandezza di uomo e di sacerdote, di servitore e pastore della Santa Chiesa. Tra qualche giorno invierò la mia testimonianza, quale mi uscirà dal cuore che custodisce ricordi incancellabili e nutre perenne gratitudine”. Di seguito, Capovilla suggeriva alcune correzioni alla mia bozza. Il 7 maggio, mi spediva il testo che avrei posto come premessa al mio volume, e che ripropongo in questo Quaderno. Nella lettera di accompagnamento, scriveva: “Eccole la mia modesta testimonianza. Vorrei e dovrei dire molto di più e molto meglio. Dio sa quanto grande ed accesa sia la mia gratitudine per il card. Angelo Dell’Acqua, l’ammirazione e l’amore. Se Lei avrà modo di passare di qua, potrò dirLe qualcos’altro”.
Accogliendo l’invito, il 29 maggio 1997, con qualche trepidazione, mi incontrai per la prima volta a Sotto il Monte con l’Arcivescovo Capovilla. Pensavo di trovare un anziano dedito alla nostalgica rievocazione del bel tempo passato (aveva 82 anni, allora), e invece ascoltai un uomo con gli occhi ben aperti, informatissimo e con idee ben chiare sul presente: sulla realtà ecclesiale, sociale e politica, a livello italiano ed internazionale… Quell’estate del 1997 fu fitta di contatti con mons. Capovilla, che mise a mia disposizione documenti inediti tratti dall’archivio Roncalli, assai utili per arricchire la biografia del card. Dell’Acqua.
Il 31 agosto 1997, con una solenne celebrazione presieduta dal card. Carlo Maria Martini, le spoglie di Angelo Dell’Acqua vennero traslate dal cimitero di Sesto Calende alla chiesa di San Bernardino. Naturalmente, mons. Capovilla fu invitato alla cerimonia; non potendo intervenire per un impegno già assunto a Broni, in provincia di Pavia, propose di anticipare la sua venuta a Sesto al 27 agosto, data esatta del 25° anniversario della morte di Angelo Dell’Acqua. Quel pomeriggio, celebrò la Messa a Casa Sant’Angelo, la casa di riposo per anziani sorta per volontà del card. Dell’Acqua, e pronunciò una commoventissima omelìa. La sera stessa, mi scrisse: “Son rientrato carico di emozioni. L’incontro familiare a Casa Sant’Angelo ci ha edificati tutti. Il nostro Cardinale Angelo ha ricevuto da noi un tributo di affetto quale egli merita”. Mons. Capovilla tornò poi a Sesto il 9 maggio 1998, per celebrare la Messa in San Bernardino e benedire la lastra posta sulla tomba del card. Dell’Acqua. Le omelìe da lui pronunciate nelle due circostanze sono riprodotte in questo Quaderno.
Dal 1997 e per 19 anni il mio rapporto con l’Arcivescovo (poi Cardinale) Capovilla è proseguito e si è consolidato. Non oserei parlare di amicizia, se non fosse stato lui ad utilizzare una parola così impegnativa… Questo rapporto si è nutrito anzitutto di una fitta corrispondenza: conservo 220 sue missive, e ancor più numerose sono quelle da me indirizzate a lui. Finchè la vista glielo ha consentito, egli rimase fedelissimo alla corrispondenza: non c’era lettera, biglietto o semplice cartolina a lui diretta che rimanesse senza una pronta risposta di suo pugno. Magari di poche parole: ma sempre ispirate, originali, di alta spiritualità e fine gusto letterario. Spesso, accanto alla data, poneva il nome del santo del giorno o un evento di cui cadeva l’anniversario. Alcuni esempi: “50° anniv. della morte di Gandhi” (30 gennaio 1998); “S. Albino (Luciani!)” (1° marzo 1999); “Fatima!” (13 maggio 1999); “46° anniv. elezione di Paolo VI” (21 giugno 2009); “50° di Luigi Sturzo” (8 agosto 2009); “1945: Hiroshima!” (6 agosto 2011). Mi ha sempre colpito anche un dettaglio delle sue buste intestate. I personaggi noti, in genere, per riservatezza contrassegnano le proprie buste con le sole iniziali: Capovilla, invece, sulle sue buste aveva stampato nome e cognome, indirizzo e perfino il suo numero telefonico…
Protagonista del mio carteggio con Loris Capovilla è Angelo Dell’Acqua. Le lettere di Capovilla sono disseminate di espressioni traboccanti di ammirazione, riconoscenza e affetto nei riguardi del nostro Cardinale. A pubblicarle tutte, ne verrebbe fuori un inno alla fede e all’amicizia. Col passare del tempo, gli argomenti dei miei scambi epistolari con mons. Capovilla si sono ampliati. Mi permettevo anche di manifestargli i miei punti di vista su alcuni avvenimenti della vita della Chiesa: le sue risposte denotavano una consonanza di vedute che mi dava grande consolazione. L’Arcivescovo mi rendeva partecipe anche di qualche spina che turbava la sua serenità, sempre vinta però da una indomabile, soprannaturale speranza: “Il vegliardo che le scrive, Mauro, accetta il mestiere del seminatore. Lei è molto più giovane di me, ma anche lei si aggreghi al consorzio dei pazienti seminatori” (17 luglio 2007); “Mi allieta e mi incoraggia il sereno apprezzamento di lei, che ormai mi conosce. Mi servo delle parole e degli scritti per spargere qualche seme. E accade, spesso, che Iddio lo fecondi” (8 agosto 2008); “Poco posso lavorare. Ho qualche problemino, com’è naturale. Prego. Soffro. Offro. Mi dispongo a partire quasi solitario. I miei maestri e amici son tutti Lassù, tranne il Crocifisso di Gallarate” (14 aprile 2012: il riferimento finale è al card. Martini, malato, che Capovilla aveva incontrato all’Aloisianum il 28 maggio 2011 e che morirà il 31 agosto 2012); “La “fatica” del vivere è talora pesante. Ma se guardo alto e lontano mi sembra di volare” (1° novembre 2011).
Nelle sue lettere, Capovilla parlava anche di me e del mio impegno per far conoscere la figura del card. Dell’Acqua: lo faceva con parole di incoraggiamento, di benevolenza e di gratitudine proporzionate non certo ai miei meriti ma soltanto alla sua grandezza e nobiltà d’animo… Rileggendo oggi le sue lettere, noto che – col passare degli anni – le sue espressioni manifestano un “crescendo” di calore e di affetto che mi commuove e mi confonde. Il 22 dicembre 2009 mi scriveva: “Iddio mi consola con il dono di amicizie elette ed edificanti. La sua, Mauro!”. E il 23 agosto 2011: “Lei sa che le voglio bene e nutro verso di Lei sentimenti di stima, fiducia, gratitudine”. Il 14 giugno 2012 terminava il suo biglietto scrivendo: “L’abbraccio con amore di padre”. Molto spesso, nelle sue parole augurali e benedicenti associava al mio nome quello di Suor Scolastica (la Religiosa che fu a servizio del card. Dell’Acqua), senza dimenticare l’intera comunità Sestese. Così, il 15 luglio 2014 mi scriveva: “Mauro, quanta bontà gli amici riversano nel mio cuore. Grazie del suo ricordo dei miei 47 anni di episcopato! Scrivo poco, con qualche difficoltà. Però penso molto, prego, amo e spero. A Lei, a Suor Scolastica, alla piccola e diletta patria del card. Angelo, celesti favori, amicizia, benedizione”. Il suo ultimo biglietto, vergato con grafia incerta, è datato 14 ottobre 2015, giorno del suo centesimo compleanno: “Grazie senza fine. L’aff.mo + Loris F. Capovilla”.
Accrescendosi le sue difficoltà nello scrivere, Capovilla preferiva telefonare: e talvolta lo faceva in orari alquanto mattinieri… Per il suo 100° compleanno scrissi un articolo augurale sul bollettino parrocchiale di Sesto Calende, e gliene spedii copia. Lui mi telefonò, per ringraziarmi. Mi disse: “L’ho gradito tanto… Il mio pensiero viene spesso a Sesto Calende, a quella pietra tombale… Ai miei occhi, essa non racchiude le spoglie di un uomo: io vedo invece la presenza di un Angelo”.
Accanto alla corrispondenza e alle telefonate, gli incontri. A partire dal 1997 e fino al 2015, sono stato una trentina di volte a trovare mons. Capovilla a Sotto il Monte. All’ingresso di Camaitino, mi presentavo a una delle Suore delle Poverelle che custodivano la casa-museo. Talvolta, ad accogliermi era una Religiosa dall’abito candido, la figura esile e minuta, il sorriso dolce e lo sguardo mite: Suor Primarosa Perani, vero “angelo custode” che per decenni ha servito mons. Capovilla con amorevole dedizione e instancabile operosità… Sentito il mio nome, la Suora andava a riferire all’Arcivescovo. Una volta, ho ascoltato questo dialogo: “Eccellenza, c’è qui Mauro, da Sesto Calende”. “Non Mauro: il dottor Mauro!”. Giunti nella luminosa “sala delle udienze” ci si sedeva attorno ad un grande tavolo, quasi sempre disseminato di libri, appunti, lettere, ritagli di giornale… Mons. Capovilla in genere portava la croce pettorale con incastonata la medaglia sulla quale Giacomo Manzù ha modellato l’abbraccio fra Giovanni XXIII e il primo cardinale africano, Laurean Rugambwa. Era soprattutto l’Arcivescovo a condurre la conversazione, spesso prendendo spunto dall’attualità ecclesiale, sociale o politica. Vivace, appassionato, ironico: capace di commuoversi fino alle lacrime, così come di manifestare vibrante indignazione. La sua formidabile memoria gli permetteva di ricordare con esattezza e di snocciolare con disinvoltura nomi, date, circostanze… Mi ha sempre impressionato come, alla sua veneranda età, fosse in grado di permettersi ampie digressioni nel discorso per poi ritornare al tema principale nel punto esatto in cui l’aveva lasciato, senza incertezze… Davanti a sè, sul tavolo, mons. Capovilla teneva un telefono cordless, che squillava spesso. A volte, a chiamare erano amici veneziani di lunga data: e allora lui non esitava ad esprimersi nel dolce dialetto veneto… Negli ultimi anni, avendo problemi alle gambe, invece che seduto al tavolo egli stava in una poltrona, presso una finestra.
Mi piace qui ricordare anche i due pellegrinaggi dei Sestesi sui luoghi di Papa Giovanni, coronati dall’incontro con mons. Capovilla. Il primo pellegrinaggio, decanale, fu il 27 maggio 2003. Era previsto che l’Arcivescovo celebrasse la Messa per gli oltre 300 pellegrini, ma all’ultimo momento dovette rinunciarvi, perchè non si sentiva bene. Tuttavia, nella chiesa del Pontificio Istituto Missioni Estere, tenne ai pellegrini un discorso improvvisato di mezz’ora, salutato da un caloroso applauso. Il giorno seguente mi scrisse: “Mi scusi coi pellegrini della mia mancata Messa. Purtroppo – ogni tanto – mi succede di dovermi fermare un istante, più che un istante”. Il secondo pellegrinaggio, parrocchiale, avvenne il 16 maggio 2013. Terminando l’incontro con i Sestesi, prima di impartire loro la benedizione, con voce rotta dalla commozione, mons. Capovilla disse: “Mi sembra, in questo momento, di benedirvi insieme al card. Dell’Acqua”. Scrissi una cronaca di quella giornata sul bollettino parrocchiale, e glielo spedii. Ne ricevetti questo toccante riscontro: “Mauro. “Il Ponte” n. 3/2013 è un gioiello. Grazie! Sestesi del mio card. Angelo! Vi amo tutti, prego per voi. Vi benedico”.
Infine, non posso non rievocare con particolare commozione – e con gratitudine verso il suo segretario Ivan Bastoni – il mio ultimo colloquio con il card. Loris Capovilla, ricoverato alla casa di cura “Palazzolo” di Bergamo, il 23 aprile 2016. Era a letto, molto debole ma ancora lucidissimo. Anche in quella circostanza, sulle sue labbra affiorò il nome di Angelo Dell’Acqua. Mi raccontò: “La mamma di mons. Dell’Acqua, che abitava con lui in Vaticano, la domenica andava al balcone di casa per vedere l’Angelus di Papa Giovanni, e diceva: quel sant’uomo lì, quando si affaccia alla finestra c’è sempre il sole!”. Al momento del congedo, mi sono inginocchiato accanto al letto, e il card. Capovilla – sollevando il braccio destro – mi ha dato una benedizione solenne quanto un’Urbi et Orbi papale. Alla porta, prima di uscire dalla camera, gli ho mandato dei baci con la mano: e lui ha risposto con lo stesso gesto… Cinque settimane più tardi, andavo a rendere omaggio alle sue spoglie mortali, nella camera ardente allestita a Camaitino.
Rifletto sulla grazia, che ho avuto, di poter frequentare così a lungo il card. Loris Capovilla. E mi chiedo: che cosa ho imparato, da lui? Una prima risposta mi sorge spontanea: ho imparato ad amare di più la Chiesa. Non una Chiesa idealizzata e perfetta. Non la Chiesa che vorrei, ma la Chiesa vivente, concreta: la Chiesa del mio tempo, che, pur con fatiche ed incertezze, progredisce verso una comprensione più piena e una proposta più coerente e più credibile del Vangelo. Loris Capovilla ha vissuto, ha combattuto, si è speso per edificare una Chiesa del futuro “senza macchia e senza ruga”. Ma, nello stesso tempo, ha amato profondamente, con tutte le sue forze, la Chiesa del presente, pur con le sue macchie e le sue rughe, che egli ben conosceva! Ancora con riguardo alla Chiesa, dal card. Capovilla ho imparato che la sua storia è come una specie di aurea catena nella quale nessun anello può essere isolato o contrapposto agli altri: egli non parlava mai di Giovanni XXIII senza ricordare, con rispettosa devozione, anche i Papi suoi predecessori e successori… Grande era, in particolare, la sua devota ammirazione verso Paolo VI.
Dal card. Capovilla ho imparato anche ad amare di più l’Italia. Egli aveva una visione alta e nobile di quello che dovrebbe essere l’impegno sociale e politico dei cattolici: fatto di disinteresse, spirito di sacrificio, dedizione all’autentico bene comune. Con quanta passione parlava dell’Italia, con quanta commozione descriveva i preziosi doni di mente e di cuore di cui la Provvidenza ha dotato il popolo italiano! E con quale vibrante sdegno biasimava coloro che (anche fregiandosi del nome cristiano) hanno avvilito la politica piegandola ad interessi personali o di parte!
La frequentazione del card. Capovilla è stata per me scuola di virtù cristiane. Scuola di fede, anzitutto: perchè nelle conversazioni con lui a Camaitino lo sguardo era sempre stimolato a rivolgersi verso l’alto. Dio c’entrava sempre: quando si parlava di religione, ma anche quando si trattavano questioni sociali o politiche… Scuola di speranza, poi: dal card. Capovilla ho imparato a guardare alle vicende della storia (in particolare della storia della Chiesa) non come a frammenti sconnessi, contradditori, sparsi da un destino capriccioso; ma come a tessere di un mosaico che rivela i contorni di un disegno sapiente e provvidenziale. Infine, scuola di carità: che in Loris Capovilla si manifestava, anzitutto e largamente, nelle mille forme della sua accogliente cortesia, della sua squisita benevolenza, della sua signorile amabilità.
Egli ha raggiunto i cent’anni custodendo un cuore giovane e uno sguardo proiettato verso il futuro della Chiesa e del mondo, capace di incitare al bene e di diffondere semi di speranza, di fiducia, di coraggio, di generosità. Quando toccò il secolo di vita, gli scrissi: “Arrivare a cent’anni è, ancora oggi, un traguardo abbastanza raro. Arrivarci in buone condizioni fisiche è ancor più raro. Arrivarci con una memoria vivida e un intelletto vigile è rarissimo. Ma ciò che io reputo ancor più raro è arrivarci – come nel caso di Vostra Eminenza – senza aver perso lungo la strada della vita la capacità di stupirsi, di gioire, di commuoversi, di amare, di guardare alto e lontano”. Nel suo parlare e nel suo agire, Loris Capovilla attingeva al vocabolario delle Beatitudini, così spesso dissonante dal vocabolario del mondo. Ciò che il mondo chiama ottimismo, per il cristiano è speranza; ciò che chiama ingenuità, è fiducia nella Provvidenza; ciò che irride come utopia, è Vangelo.
Mauro Lanfranchi, Sesto Calende 29/04/2019,
Tratto da:Mauro Lanfranchi, “Con gratitudine, venerazione e amore”. Angelo Dell’Acqua nel ricordo di Loris Francesco Capovilla, Centro Culturale Card. Angelo Dell’Acqua, Sesto Calende, 2016
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Aveva il dono di leggere nel cuore
Il mio primo incontro con Monsignor Loris F. Capovilla risale al 28 dicembre 2011, al termine della Messa celebrata a Cà Maitino. Entrai timoroso nel suo studio, piccolo ed accogliente, semplicemente per chiedere una firma su uno dei suoi libri, non immaginando che quel giorno sarebbe stato solo l’inizio di un’amicizia , che ancora oggi VIVE nel mio cuore.
Monsignor Capovilla è stato per me un maestro di vita, un uomo colto dalla fede solida come la roccia, la persona, di cui senza saperlo, avevo bisogno. Egli aveva il dono di leggere nel cuore delle persone, ed era per lui importante imparare a “guardare lontano”, “camminare insieme”, ed essere ottimisti sempre, nonostante le miserie della vita, perché, diceva spesso: “siamo appena all’aurora!” e come Cristiani abbiamo il dovere di annunciare e mettere in pratica il Vangelo, e mai restare fermi!
Don Loris, come voleva farsi chiamare anche dopo essere stato creato Cardinale da Papa Francesco, è stato sempre con me generoso, sempre disponibile fino alla fine, ed io ero entusiasta e felice nell’ascoltarlo, sempre, con ammirazione, quando parlava e mi raccontava qualche aneddoto sulla sua vita o sulla vita di Papa Giovanni. Ogni sua parola era sempre edificante, e non mancavano talvolta delle battute simpatiche, perché sapeva essere anche ironico ed autoironico!
La mia stima ed il mio affetto non cesseranno mai per lui, Cardinal Loris F. Capovilla.
Valerio (Irlanda), 21 aprile 2019
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Cerchiamo ciò che unisce…
Parlare del cardinale Loris Capovilla è sempre un’occasione di grandissimo piacere anche nel ricordo di pochi attimi per tutto quanto questo grandissimo uomo ha saputo sempre trasmettere anche semplicemente con uno sguardo, con un abbraccio, con una stretta di mano. Lo conobbi negli anni 70 casualmente durante una conferenza che fece a Roma per ricordare i messaggi rivoluzionari di Papa Giovanni XXIII ancora poco compresi a distanza di molti anni dalla sua Partenza il 3 giugno 1963. Scambiamo solo poche parole, ma furono sufficienti a stabilire un rapporto che poi è rimasto vivo per sempre. Sono stato numerose volte a trovarlo a Sotto il Monte insieme ad i miei genitori (ora anch’essi in Cielo) e ho avuto la fortuna di farlo conoscere anche a mia moglie Sara e a nostro figlio Tommaso, col quale stabilì subito un fortissimo legame trasmettendoli una grande energia per il suo futuro che tuttora lui conserva gelosamente. In ogni nostro incontro Don Loris non solo ci trasmetteva il dono dell’aver pazienza di fronte alle tante contraddizioni del mondo e anche della Chiesa stessa, ma era capace con poche parole di lasciarci ogni volta un’energia incredibile per guardare avanti con fiducia e con speranza. È stato l’uomo capace di insegnarmi a capire la politica internazionale troppo spesso mistificata dai mass media per tanti interessi secondari che sfuggono ad un normale telespettatore che in buona fede crede a quanto gli venga detto. Ci ha trasmesso la potenza del messaggio di Papa Giovanni anch’esso troppo spesso ignorato o travisato: quante volte gli ho detto che bisognava fare qualcosa affinché questo grandissimo Uomo che lui aveva servito con dedizione e umidità, avesse i giusti riconoscimenti da parte della Chiesa. Mi rispondeva sempre di non avere fretta e che primo poi la grandezza di Angelo Giuseppe Roncalli sarebbe emersa e avrebbe avuto gli splendori di quanto meritava. Come in silenzio non faceva nulla volutamente per fare pressioni per la giusta visibilità all’opera di Papa Giovanni ( limitandosi solo a testimoniare tutto quanto aveva potuto vedere attraverso numerosi libri che sono diventati dei veri riferimenti sotto tutti i punti di vista per la Chiesa), con altrettanta compostezza ha vissuto interiormente la gioia della Sua Beatificazione e della successiva Santità. Di certo non ambiva a cariche di prestigio per se stesso, ma per chi l’ha conosciuto e ha toccato con mano la sua grandezza, la nomina a cardinale è stata il giusto riconoscimento non tanto per un titolo ecclesiastico giunto troppo tardi, ma per quel dare risalto a tutta la sua opera svolta in silenzio, ma con un’incisività molto forte. Mi piace ricordare Don Loris proprio con le parole di Giovanni XXIII “cari figlioli guardate sempre ciò che vi unisce e non ciò che vi divide: Don Loris è stato per tutta la sua vita terrena l’esempio vivente di questo messaggio e lo ha trasmesso a chiunque lo abbia incontrato. Non a caso tantissimi non credenti erano molto legati a lui : una volta mi raccontò che incontrando una persona assolutamente atea, ma molto rispettosa verso di lui si sentì dire “padre non so se sono degno di parlare con lei perché io non credo”. Don Loris rispose : “non ha importanza che non credi, credo io per te!”. Questo è stato Don Loris Capovilla un uomo che come tutti quelli che hanno saputo trasmettere soltanto energie positive, in fondo continuano ad essere presenti tra di noi per l’eternità e manifestano la loro presenza in tante piccole forme che dobbiamo soltanto saper percepire nella nostra quotidianità. Grazie Don Loris per aver avuto l’onore di conoscerti e per averci dato la forza a trasmettere qualche piccola goccia di felicità in un mondo che ha assolutamente bisogno di esempi vincenti per superare le tante maschere con cui gli esseri umani vivono le loro giornate in continue fiction, timorosi a saper trasmettere affetto e accoglienza.
Angelo Peluso (angelo.peluso@aslroma2.it) dirige l’ U.O. Tutela Salute della Donna e dell’Età Evolutiva D VI Asl Roma 2; è professore a c. alla Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Roma – Tor Vergata. Ha scritto 25 libri tradotti anche all’estero. Le opere più recenti sono : Peluso A. e Mariorenzi S. , Sentimenti fragili e identità mascherate. Effatà Editore, Torino Peluso A. e Passigato M., Affari di cuore e complicità affettiva. L’amore nella società mordi e fuggi. Effatà Editore, Torino Peluso A. (2020) Felicità. Una sfida da vincere per il benessere di ogni essere umano e per costruire un’armonia internazionale. In preparazione
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“INCONTRI CHE CAMBIANO LA VITA”
Ci sono incontri che segnano la tua vita in modo irreversibile. Un po’ come accadde a quegli uomini lungo il fiume Giordano alla quattro del pomeriggio di quasi duemila anni fa. Sono incontri che riempiono di senso la tua vita e ti fanno intravedere la presenza di Dio.
Uno di questi incontri per me e per tanti altri è stato l’incontro con monsignor Capovilla. Ho avuto la grazia di conoscere mons. Capovilla il 18 marzo 2012, in occasione di un pellegrinaggio della parrocchia di Formigine (MO) a Sotto il Monte, sui passi di Papa Giovanni. All’epoca ero uno studente all’ultimo anno del liceo classico a Modena ed ero in procinto di entrare in seminario (ora sono un giovane prete di 25 anni). Nel corso di quell’incontro rimanemmo tutti affascinati dalla sua lucidità, a dispetto dei 96 anni di età, e ancor più dalla sua saggezza e dalla sua profondità umana e spirituale. Ci colpì molto anche il suo sguardo, profondissimo e pieno di luce. Da quell’incontro nacque una forte amicizia e abbiamo continuato un intenso dialogo fino alla sua salita al Cielo, avvenuta poco più di quattro anni dopo.
Conservo ben impressi nel mio cuore tanti insegnamenti ricevuti da mons. Capovilla: i racconti delle sue esperienze accanto a Papa Giovanni, le sue riflessioni sui fatti della storia e dell’attualità letti alla luce del Vangelo e del Concilio. Colpiva moltissimo, in questo uomo di quasi 100 anni di età, la sua capacità di capire e di farsi capire anche dai giovani, da chi aveva circa 80 anni meno di lui. Riusciva a entrare subito in sintonia e in empatia con chiunque si trovasse davanti a lui.
Potrei raccontare tanti episodi e discorsi di mons. Capovilla che sono stati, per me e per tanti altri, di grande edificazione, ma il suo segretario, Ivan Bastoni (che ringrazio per la preziosissima opera che sta facendo con grande fedeltà verso Capovilla), è ben più in grado di me di farlo. Certe cose, poi, come ci insegnava lo stesso Capovilla, è bene custodirle nel proprio cuore. Mi limito dunque a fare alcuni accenni.
Tra le frasi che lui mi ripeteva spesso, ricordo sempre quella che citava da Teilhard De Chardin: “Ricordati, Mattia: non si converte se non quello che si ama!”. E lui era davvero innamorato degli uomini e del mondo. Lui non vedeva nemici, ma sempre e soltanto donne e uomini da amare. Ripeteva sempre la frase di Papa Giovanni sull’essere cittadini del mondo. Capovilla si sentiva davvero fratello di ogni essere umano, oserei dire di ogni creatura, senza barriere di alcun tipo. Per me è stato un insegnamento grandissimo. Negli anni del liceo ho conosciuto tanti compagni, insegnanti e collaboratori scolastici che non erano cristiani ma che erano persone di buona volontà, affamate e assetate di giustizia e operatrici di pace: mi colpiva molto e mi faceva soffrire vedere come tra loro e la Chiesa di Gesù, di cui faccio parte e che amo, ci fossero tante barriere innalzate nel corso dei secoli. Sentivo forte nel cuore il desiderio che queste barriere venissero superate, che venissero costruiti ponti di collaborazione, che si potesse camminare insieme verso la civiltà dell’amore, senza più quei muri di separazione. L’incontro con Capovilla mi ha illuminato tantissimo: in lui ho visto proprio un fratello maggiore che, insieme a Papa Giovanni, ha lavorato alacremente per la collaborazione tra tutti gli uomini di buona volontà, per l’abbattimento dei muri di divisione e per la costruzione di ponti. Io non ho conosciuto i giorni di Papa Giovanni: sono nato trentanni dopo la sua salita al Cielo. Ma grazie a Capovilla ho potuto respirare quello stesso entusiasmo, quello stesso ardore per la collaborazione tra tutti gli uomini e le donne di buona volontà per la costruzione della civiltà dell’amore che animava i giorni di Papa Giovanni. Ed è una grandissima gioia vedere come oggi il cammino avviato continui. Penso ad esempio agli incontri di Papa Francesco con i movimenti popolari[1], all’incontro dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi al centro sociale Tpo[2] e all’incontro dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice con Luca Casarini[3]. Penso anche alle tante iniziative di dialogo con il mondo della cultura e con le altre religioni, come quelle che sta promuovendo l’Arcivescovo di Modena Erio Castellucci (il mio vescovo) [4]. Vedo in tutti questi passi la prosecuzione del cammino di Papa Giovanni e di mons. Capovilla.
Ricordo anche la sua lezione quando Papa Francesco gli telefonò, il 1 aprile 2013. L’elezione di Papa Francesco aveva entusiasmato Capovilla, che vedeva in lui una sorta di Papa Giovanni redivivo: “È tornato Papa Giovanni”, lo sentii dire più volte. Ebbene, mi colpì moltissimo, quando Papa Francesco gli telefonò per salutarlo e per ringraziarlo del pieghevole che gli aveva inviato sul cinquantesimo anniversario della Pacem in terris e del transito di Papa Giovanni, la commozione di Capovilla. Ricordo molto bene la sua voce spezzata per la commozione che mi diceva: “Ho pianto tutta la notte. Il Santo Padre che chiama me!” Ricordo che all’udire queste parole rimasi basito. Pensavo: “Potrei piangere io se il Papa mi chiamasse, visto che io non sono nessuno. Ma Capovilla è stato contubernale di Papa Giovanni, prelato di anticamera di Paolo VI, ha avuto rapporti con tutti i Papi successivi. È una cosa normale che Papa Francesco gli telefoni!”. Era una cosa normale, eppure Capovilla nel suo cuore la avvertiva come una cosa inaspettata, perché lui si sentiva davvero uno dei più piccoli del mondo e per gli ultimi del mondo è una cosa inaspettata ricevere una telefonata così. Davvero nel cuore lui si sentiva fratello dei poveri, degli scartati, dei derelitti della terra. Si sentiva davvero un fratello degli ultimi, pertanto la chiamata del Santo Padre gli sembrava una cosa enorme e inaspettata. E questo sentirsi davvero fratelli dei deboli e dei poveri è una delle testimonianze più belle che mi ha lasciato. Si vedeva bene che si sentiva tale quando questi poveri, ammalati, sfruttati, oppressi, esclusi che aveva incontrato nel corso della sua vita andavano a trovarlo a Sotto il Monte. Mi è capitato di essere presente ad alcuni di questi incontri e posso dire che la prima impressione che ne ricavavi era proprio questa: è un loro fratello. E questo è Vangelo: sembrava infatti di vedere gli incontri di Gesù con i poveri, gli storpi, i ciechi, i lebbrosi, i pubblicani, i peccatori descritti dagli evangelisti. Lo sguardo di Capovilla, la sua tenerezza verso di loro, sembravano proprio l’incarnazione dell’amore di Gesù. In definitiva, credo che se si dovesse dare una definizione di cosa è stato Loris Capovilla, la risposta più precisa sarebbe questa: è stato un discepolo di Gesù. La sua vita altro non è stata che un seguire Gesù vivendo il suo Vangelo sine glossa. Capovilla aveva incontrato Gesù e si era innamorato di lui. È indimenticabile la dolcezza con cui Capovilla pronunciava il suo nome: “Gesù”. E Gesù era sempre il riferimento dei suoi discorsi. Ora Loris Capovilla è con lui in Cielo. Certo, a noi quaggiù manca tantissimo. Manca potergli telefonare, poterlo andare a trovare, potergli parlare della propria vita, della storia, dell’attualità, poter ricevere da lui quella iniezione di speranza e di fiducia che sempre ti dava: sapevi sempre che ti avrebbe capito nel profondo e che avrebbe riacceso l’amore nel tuo cuore. Capovilla ora è in Cielo con Gesù e con Papa Giovanni e splende nella costellazione dei giusti. E noi, che guardiamo ancora a lui come fratello maggiore, mentre sentiamo certo il dolore per il suo distacco, sentiamo anche risuonare forti le parole che aveva assunto come motto negli ultimi anni della sua vita: Tantum aurora est!, “Siamo soltanto all’aurora”. Eh sì: alla fine della sua vita Capovilla anziché vedere il crepuscolo vedeva l’aurora. Questo era frutto della sua consapevolezza che Gesù c’è e ci accompagna, per cui non siamo soli. Gesù è con noi e cammina con noi. Sì, siamo soltanto all’aurora. Anche se nuvole di temporali si addensano all’orizzonte della storia e sembra che la notte voglia tornare. Le tenebre sembrano volersi imporre sulla storia umana, ma la luce prevarrà: la luce che Capovilla ha acceso nelle nostre vite e nella storia umana, riflesso della luce di Gesù, ce lo ricorda. È appena l’aurora della civiltà dell’amore. E Capovilla in questa aurora adesso ci accompagna dal Cielo, in attesa di ritrovarci tutti insieme con lui accanto a Gesù. Là saremo davvero tutti fratelli e sorelle uniti in modo perfetto nell’amore. E l’aurora che è iniziata sarà un giorno splendente di luce che non avrà fine.
Caro monsignor Capovilla, grazie! Accompagnaci sempre dal Cielo. Arrivederci in Paradiso.
Don Mattia Ferrari, Formigine 16 aprile 2019
[1] http://movimientospopulares.org/e
[4] https://accademiasla-mo.it/it/news/diritto-e-misericordia
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L’angelo custode di Papa Giovanni XXIII
Caro Ivan nell’anniversario di mia mamma 6 Luglio 1977 (ricorreva 19 anni fa della morte) sono andato a Loreto con U.N.I.T.AL.S.I. a conoscere l’angelo custode di Papa Giovanni XXIII.
Una emozione grande che tengo ancora viva e rivivo sempre nel mio cuore che batte a distanza sempre come ora . E allora Mgr Capovilla mi fece una dedica che parla sempre e non si cancella mai nel mio animo e ridendo gli chiesi a Mgr Capovilla di poter avere una amicizia con la corrispondenza e mi disse: “Vediamo se sei capace di mantenerla nello scrivermi”.
Sono passati 40 anni di amicizia e di corrispondenza. Dovevamo fare una festa in corrispondenza di 527 lettere e penso che mi abbia voluto bene.
Grazie caro amico Ivan, caro segretario e collaboratore, anche per la tua amicizia.
Andrea Signoretto, Venezia 26 marzo 2019
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Caro cardinale…
Sono un po’ più solo, carissimo padre, tenace mons. Loris Francesco Capovilla.
Spesso ripenso ai nostri incontri, alle visite a Ca Maitino quando ci riceveva, grazie alla cortese e discreta presenza dell’amico Ivan, nominato suo segretario personale e soprattutto fedele testimone delle sue volontà. Erano colloqui, aperture dei nostri cuori e quasi voli d’anima le nostre visite attese da me e da qualche comune amico. Partivamo sicuri, con la gioia del cuore da Vicenza verso la terra natale di san Giovanni XXIII. E dove volle pure vivere e morire quel suo grande amico- e anche un po’ mio- padre David Maria Turoldo.
Sono un po’ più solo, caro padre (lei che non ha mai desiderato essere chiamato arcivescovo e poi cardinale!) perché mi manca la sua telefonata bisettimanale, sul far della sera, quasi in un vespro laico dove ci scambiavamo le informazioni, le notizie,la gioia e il dolore. Tutto veniva spontaneamente spartito nella stessa misura di autentica condivisione. E tutto terminava, come sempre, con una preghiera, proprio nel riassunto evangelico del “dove ci sono due o più, riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro…”. Mi manca tutto questo, caro Amico, perché tu facevi sentire tutti tuoi amici E’stata questa la tua vera grandezza di uomo, prete, vescovo e cardinale, figlio di una Chiesa davvero del “pane e Vangelo”, non di una Chiesa che spesso ci è lontana e che qualcuno vorrebbe solo come ferrea giudice – maestra, senza essere, prima, Madre. Di questa Chiesa, della Chiesa del Concilio Vaticano II, tu sei stato esempio nella tua lunga vita. .E Francesco, il papa scelto dalla fine del mondo, ti ha subito capito e ringraziato. Il “rendere grazie “per averti incontrato è d’obbligo anche per me e ti prego ancora, ogni giorno del mio vivere quotidiano. Ti sento vicino nel tuo indicarmi la strada, nel seguire i passi della mia famiglia, tu che mi hai tanto parlato della tua famiglia e dei sacrifici dei poveri senza mai temere i potenti.
Ho scritto molto su di te, questa volta ho soltanto pregato e tentato di rendere grazie a Dio, come avresti voluto e scusa se , ad un certo punto, mi sono rivolto con il “tu”.
Mario Pavan,
Vicenza, 9 marzo 2019
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Un incontro inimmaginabile ed emozionante
Correva l’anno scolastico 1945-46 quando chi scrive, allora quattordicenne, frequentava il primo anno dell’ITIS A. Pacinotti di Venezia, non essendoci altra possibilità in provincia di Treviso.
Fu un anno da dimenticare per tante ragioni (vita di collegio, scarsità di cibo, difficoltà a riprendere un’esistenza normale dopo le paure e le tribolazioni patite per la guerra), anno che si concluse con la bocciatura.
Di quell’anno segnato dallo smarrimento ricordo con nostalgia il girovagare per le calli nebbiose ma piene di fascino quando marinavo scuola per paura delle interrogazioni, l’odore di pesce fritto e di caldarroste, i suoni delle sirene dei vaporetti che d’inverno s’intravedevano appena in mezzo alla nebbia, lo sciabordio dell’acqua lungo i canali, il simpatico vociare dei gondolieri dei traghetti e i tanti cinema, aperti anche al mattino, dove si proiettavano due film.
Rammento anche di aver assistito, nella primavera del 1946, all’ultima apparizione, a una finestra delle Procuratie Nuove in Piazza S. Marco, di Umberto II di Savoia in occasione della campagna referendaria Monarchia-Repubblica.
Ho invece vaghi ricordi degli insegnanti del Pacinotti, fatta eccezione per uno: quello di religione.
Si chiamava don Loris Capovilla.
Me lo rivedo ancora magro, con i capelli neri a spazzola e con gli occhiali rotondi.
Non posso dare alcun giudizio sulla qualità del suo insegnamento perché durante le lezioni di religione avevo la testa rivolta alle altre materie e a quanto mi sarebbe potuto accadere nelle ore successive con professori, per nulla comprensivi come quelli d’oggi, dai quali ero stato marcato come un buono a nulla.
Sapevo però che don Loris predicava molto bene per averlo sentito parlare alla radio diverse volte, quand’ero ancora a casa. Lui, allora coadiutore del parroco di S. Zaccaria in riva degli Schiavoni, tutte le domeniche alle 12 commentava il brano evangelico dall’emittente di Radio Venezia.
Le sue omelie erano caratterizzate da una estrema lucidità di esposizione, da un linguaggio scarno e asciutto e da un tono di voce decisamente suadente.
Dopo la triste esperienza scolastica veneziana l’anno successivo fui iscritto all’ITIS A. Rossi di Vicenza dove nel 1951 mi diplomai e subito dopo iniziai la mia vita lavorativa a Milano.
Di don Loris persi le tracce.
Lo rividi per caso in televisione a fianco di Giovanni XXIII dopo la sua elezione nel 1958 e con grande piacere appresi che era diventato suo segretario particolare, funzione che aveva già svolto nel periodo in cui il cardinale Roncalli fu nunzio in Francia (1944-1952) e, successivamente, Patriarca di Venezia (1953-58).
Nel corso del pontificato di Papa Roncalli, tutte le volte che lo vedevo a lui vicino mi sentivo emozionato quasi si trattasse di una persona di famiglia e pensavo a quanto doveva essere importante il suo ruolo di assistente e, sono sicuro, anche di confidente del Papa.
E nel suo comportamento, disinvolto ma composto, mi sembrava di scorgere il desiderio di non apparire in modo da lasciare la massima visibilità al Santo Padre.
Con la morte di Giovanni XXIII lo persi nuovamente di vista.
Negli anni seguenti ricordo di aver appreso dai giornali che era stato nominato Vescovo in Abruzzo.
Il desiderio di rintracciarlo, già vivo in me mentre lavoravo, si è accentuato una volta in pensione e gli sforzi messi in atto in tante direzioni nel corso dell’ultimo anno, hanno portato a individuare il luogo, per niente segreto, dove Monsignor Capovilla oggi vive: Cà Maitino a Sotto il Monte Giovanni XXIII nella casa che ospita anche il museo papale del quale è il curatore.
Il giorno 27 maggio di quest’anno ho avuto il piacere di fargli visita e di parlargli.
Ho ritrovato nel suo discorrere fluido ed essenziale la stessa persona, con la stessa inconfondibile tonalità di voce, che avevo sentito predicare alla radio più di cinquant’anni fa.
Abbiamo discusso di tanti avvenimenti accaduti nei sessant’anni passati dal 1945 a oggi e, come ben si può immaginare, più che parlare sono stato ad ascoltarlo.
Ho saputo pertanto che dopo la morte di Papa Giovanni è rimasto in Vaticano fino al 1967 in qualità di addetto d’anticamera di Paolo VI; nello stesso anno, nominato Vescovo, è stato assegnato alla sede arcivescovile di Chieti-Vasto e successivamente dal 1972 al 1979 a quella di Loreto dalla quale si è dimesso un biennio prima della scadenza per evitare, così m’ha detto con un certo compiacimento, la «messa a riposo» per raggiunti limiti di età.
Dal 1967 è Arcivescovo di Mesembria in Bulgaria, titolo concessogli da Paolo VI in memoria dei dieci anni trascorsi in quel paese dall’arcivescovo Roncalli (1925-1934).
Nel corso dell’incontro mi ha raccontato anche un drammatico episodio vissuto nei giorni 8-9 settembre 1943 quando, in qualità di tenente cappellano della Regia Aeronautica di stanza all’aeroporto di Parma, è riuscito, con un sotterfugio, a sottrarre diversi avieri alla deportazione facendoli passare come suoi collaboratori, catechisti, accoliti, sagrestani. Riuscì a salvare tutti gli arredi sacri e anche altro.
Mi ha dato copia di una pagina della “Gazzetta di Parma” del 7 febbraio 2005 che riporta, in un articolo dal titolo Così don Loris sfidò i tedeschi, tutti i dettagli dell’operazione.
Un altro particolare del suo racconto mi ha colpito particolarmente.
Durante il periodo trascorso nel Patriarcato veneziano ha segnalato per l’assunzione all’ing. Mattei, allora al vertice dell’ENI e con il quale aveva contatti frequenti data la sua posizione, diversi operai comunisti. Erano «tempi confusi e pericolosi», ha commentato, «ma si trattava pur sempre di padri di famiglia, di diritto al lavoro e al pane; e soprattutto bisognava volgere decisamente i passi verso le frontiere della giustizia sociale».
Questo episodio è molto significativo del pensiero evangelico di don Loris e di altri come lui, senz’altro in linea con quello di chi, una volta eletto al soglio pontificio, avrebbe portato, col Concilio Vaticano II, un rinnovamento ecclesiale sempre in atto e sempre perfettibile.
Per tutto il colloquio ho avuto l’impressione che Monsignor Capovilla sia ancora legato al suo Papa, come se fosse vivo; non parla della sua morte ma della sua «dipartita» che presuppone evidentemente un ritorno o, forse, un ricongiungimento a lui attraverso la morte.
E abbiamo toccato anche questo tasto perché due persone «anziane, non vecchie», come ha voluto precisare, devono pensare a come affrontarla e ha chiuso questo tema leggendomi i versi di una poesia di John Donne (1572-1631), poeta a me sconosciuto, dal titolo Per chi suona la campana?
Questi i versi:
Ogni morte di uomo mi diminuisce
perché io partecipo dell’umanità.
E così non mandare mai a chiedere
per chi suona la campana:
essa suona per te.
È stato un incontro indimenticabile con una persona che, a novant’anni, mantiene una lucidità di mente e di giudizio da far invidia a chi, come me, ne ha sedici di meno, ma anche a tanti altri più giovani.
Bruno Piai
Castellanza, Maggio 2005 *
*Pubblicato su rivista trimestrale IL MAESTRO DEL LAVORO, ottobre/dicembre 2005
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IL MIO AMICO MONSIGNOR LORIS CAPOVILLA
IL MIO AMICO MONSIGNOR LORIS CAPOVILLA
Conobbi Monsignor Capovilla anni fa, in occasione della presentazione di un’opera celebrativa dell’attività di Giacomo Manzù.
Monsignor Loris Capovilla è parte della storia della Chiesa a pieno titolo; nel suo lungo ministero sacerdotale ha avuto peraltro la fortuna di vivere da protagonista di primo piano il periodo roncalliano che, nonostante i molti anni passati, è forse quello che più è ancora nel cuore della gente; quello che più fa vibrare le corde “romantiche” dell’anima di ognuno e rimanda a un periodo passato che possiamo tranquillamente definire “eroico”, nel senso che ha lasciato un segno indelebile nella storia.
L’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II credo sintetizzi bene questa mia affermazione.
Il nostro Papa Francesco con il suo operato umano e umile, ci sta facendo rivivere proprio quel periodo, ed è bellissimo.
Questa è una mia notazione personale ma – in questo mi sento di essere immodesto – non credo di essere lontano dal comune sentire.
Ci ha lasciato molti scritti, e credo che ognuno di coloro che vorranno impiegare il proprio tempo per leggerli ne potrà trarre l’insegnamento e l’ispirazione che si attagliano alla propria particolare inclinazione spirituale; i concetti in esse espressi, ça va sans dire, sono senza tempo.
Tuttavia ognuno di noi potrà contestualizzarli e calarli nella propria storia di vita.
Ho la fortuna e l’onore di essere stato amico e figlio di Mons. Capovilla (Lui stesso, immeritatamente, mi chiamava così) e se dovessi dire quali sono i simboli di questa nostra amicizia, non avrei esitazione nel rispondere: la luce e la quotidianità.
Monsignore mi ha insegnato molte cose, ed è quindi stato per me lampada della conoscenza; mi ha regalato il suo amore di padre spirituale e il suo affetto di amico: la luce della vita di ogni uomo.
Il nostro rapporto era fatto di telefonate quasi quotidiane, di piccole ricerche bibliografiche fatte al fine di completare uno scritto o uno studio: mio compito era quello di reperire dati attingendo dalla rete e subito ritrasmetterli a Monsignore via fax, oppure recuperare libri ormai fuori commercio, indirizzi o numeri di telefono per rispondere alla corrispondenza che a Sotto il Monte arrivava copiosa.
Lo ho sempre fatto volentieri consapevole che il fine per il quale collaboravo è (non era, è) importante, mentre “la mia persona conta niente” , per rubare alcune parole a Papa Giovanni.
Non da ultimo il rapporto con Monsignore mi ha dato la fortuna di conoscere e diventare amico di Ivan Bastoni, suo segretario particolare e contubernale; lui è stato
sostegno sicuro e sincero di Monsignore e tutt’oggi ne perpetua la memoria con rettitudine e semplicità, proprio come sarebbe piaciuto a Monsignore.
Paolo Arcari, Canonica d’Adda 22.02.2019
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“Pino , molte grazie per il saluto da Camigliatello ( che conosco!). Sono in comunione con te. Aff.mo +Loris F. Capovilla”.
Era il 04.IX.1986. Fu la prima corrispondenza tra me e Monsignore (di seguito Mgr). L’ultima, qualche giorno prima delle 14.45 del 26.05.2016 quando Egli lasciò la scena di questo mondo . Fui impreparato a quell’evento nonostante Mgr avesse superato da poco i 100 anni, tanto che, quando preannunciai al Segretario Particolare del Cardinale Capovilla, Ivan Bastoni, fedele “contubernale” nonché erede universale dello stesso, la mia salita da Cosenza a Camaitino, di risposta mi mandò una foto di Capovilla alquanto sofferente. Fu un colpo al cuore. Presi subito il primo aereo per Bergamo. Durante il volo tanti ricordi si avvicendavano nella mente, rendendomi filialmente inquieto. “Sono un suo fan, Eccellenza, ho letto tutti i suoi libri e la pregherei di autografare questo, appena comprato”. Era l’autunno del 1985 quando, in occasione di un Convegno Ecumenico in quel di Roma ( Domus Mariae per l’esattezza), lo riconobbi tra i tanti Vescovi presenti. In casa mia c’era una particolare devozione per Papa Giovanni che , del resto, quando era stato a capo della Congregazione “Propaganda Fide” aveva conosciuto bene non solo Cosenza ma anche diverse Diocesi della Calabria ( come si evinse da uno dei tanti doni fattimi da Mgr e riguardante gli appunti del viaggio in Calabria di Roncalli). Autografò, con tanto di dedica, il libro, aggiungendo…”Te ne mando alcuni che sicuramente non hai”. La sua gentilezza, il suo sorriso, la capacità di entrare in empatia con l’interlocutore, mi colpirono subito e ne riferii, al ritorno dal Convegno ,al mio Parroco don Luigi Ruffolo di venerata memoria. Fu in quel periodo che il mio parroco si sottopose ad un intervento chirurgico a cuore aperto per la sostituzione della valvola mitrale, operazione “tecnicamente” non complicata, ma per lui non fu così: restò in coma per 33 giorni fino al 28.12.1986 quando salì in Cielo. Mgr, mi stette vicino e, nonostante ci fossimo conosciuti da poco, inviò al mio parroco una reliquia di Papa Giovanni : fu l’ultima volta che reagì ad uno stimolo…esterno. L’amicizia di cui Mgr mi onorava cresceva di anno in anno e mi consentiva di seguire i suoi spostamenti. Il 20. III. 1989 mi scriveva da Arre di Padova: “Pino, la tua del 10 mi è arrivata stamane. Corro subito a te, con amicizia, sentendoti impegnato – come me- nel fronte della solidarietà, della comunione. Non so ancora della mia discesa in calabria. Frattanto mi sto sistemando quassù, nel paese dei miei avi ( ma fu per poco). Un abbraccio (…). Desideravo molto poterlo incontrare di nuovo. E pregavo per questo. L’occasione venne all’improvviso, con una lettera del gennaio 1990: “Pino buon per me che ho il tuo indirizzo e posso avvalermi della tua mediazione (…)” . In poche parole, un sacerdote gli aveva telefonato da Cosenza, concordando un triduo su “Papa Giovanni e la preghiera” ma , facendo tutto per telefono, aveva dimenticato di…presentarsi. “(…) Così tu mi devi rintracciare il su “innominato” e mettermi in contatto con lui” ed aggiunge candidamente , lasciando spazio sul foglio quasi a voler mettere in rilievo quanto stesse per scrivere: “ Mi sono definitivamente trasferito quassù, nella “Casa di papa Giovanni”. Sono contento. (…). Rintracciare il sacerdote non fu particolarmente difficile: chi poteva omettere di presentarsi se non lo stesso sacerdote che, salendo sull’altare per iniziare la S.Messa diede la benedizione finale? Era un santo sacerdote, fine teologo e uomo ecumenico, ma tanto distratto. Il parroco cui l’Innominato afferiva, mi chiese per un giorno di fare da segretario a mons. Capovilla : ne fui felice. Preparai un’agenda fitta di appuntamenti, proponendola a mgr. su una cartellina appositamente preparata che recava sul frontespizio l’ingrandimento del suo stemma episcopale. Egli guardò sornione e sorrise. Furono tre giorni indimenticabili, durante i quali imparai a conoscere alcune delle sue doti: la semplicità ( allorquando , ad esempio, lo accompagnai nelle classi materne ed elementari di un Istituto del centro storico di Cosenza , ove si chinò a consolare un bambino di 3 anni che piangeva perché voleva la mamma); la profondità ( quando , in uno dei tanti colloqui avuti in quel del Seminario Diocesano dove era ospitato , mi parlò delle sensazioni avute all’indomani della indizione del Concilio vaticano II); lo spirito profetico ( quando, accompagnandolo all’Istituto delle Suore Minime della Passione, volle soffermarsi sulla tomba di sr. Elena Aiello e, destatosi dal raccoglimento, mi disse: annota Pino, questa donna sarà proclamata Santa, ma ci vorranno ancora molti anni) . Egli sapeva essere davvero paraclito per il prossimo che a lui si rivolgeva. Ricordo che quando Papà ammalò, proprio in quell’anno 1990 e poi morì dopo un delicato intervento al cervello ,Monsignor Capovilla mi stette vicino per come potè, con grande intensità, dal momento in cui ebbe la notizia : “Pino rientro adesso da Modica, dove ho celebrato l’apostolo Pietro, riportandone soavi consolazioni pastorali. Il tuo espresso del 27 giugno mi trafigge il cuore (..)”. Mi parlò della storia del suo amico e poeta David Maria Turoldo ( presso la cui tomba volle essere sepolto) , affetto anche lui da un male incurabile ; fino a voler ,( con la stessa , inaspettata semplicità con cui accolse l’invito a cena che gli feci quando arrivò la prima volta a Cosenza, spiazzando il protocollo previsto e mandando su tutte le furie il parroco ospitante), salire al cimitero dove riposavano le spoglie di mio padre pregando in latino per lui e per tutti i defunti. Arrivato a Bergamo, all’Istituto Palazzolo, incontrai per la prima volta Ivan Bastoni che , con estrema gentilezza mi presentò agli astanti e mi introdusse subito nella stanza dove Capovilla si preparava all’incontro con Dio. La salute di Mgr. era sempre stata di “ferro” nonostante qualche incidente di percorso ed ogni qual volta telefonavo a Sotto il Monte rispondeva sempre lui, prodigo di consigli preziosi e di incoraggiamenti. Solo allorquando raggiunse la soglie dei 97 anni , per la prima volta alla domanda su come stesse, mi ripose: “Pino, inizio ad avvertire il peso degli anni”. Apro la porta e lo trovo nel letto, per la prima volta silenzioso, solenne, ieratico, le mani distese lungo il corpo e gli occhi chiusi. Mi avvicino e gli ripeto le parole che lui diceva sempre quando andava a trovare persone che stavano molto male: “Eminenza, sono Pino, se ella avesse avuto un raffreddore, non avrei preso il primo aereo per venire a trovarla”: sapeva del mio arrivo; sia Ivan che l’amico Beniamino lo avevano avvertito. Gli dissi poche parole che preferisco mantenere nel riserbo del mio cuore; nell’andar via , sapendo di non vederlo più, osai prendergli il volto tra le mani e gli sussurrai: “Padre io la amo come un figlio….”; la commozione interruppe il mio dire, ma il Cardinale mi fece un dono: aprì gli occhi rimasti fino a quel momento socchiusi, mi fissò con uno sguardo intenso, fisso, profondo. Non occorreva dire nulla. Ritornai in Calabria con immensa mestizia: uomini del genere non dovrebbero morire mai . Il tempo non ha cancellato il ricordo quotidiano che ho per lui ( spesso alcuni sacerdoti mi rimproveravano perché parlavo sempre di mons. Capovilla, e lui di questo rise di buon gusto) e , sovente, ritorno agli innumerevoli pieghevoli che allietavano i “momenti forti” liturgici , nonché alle lettere che mi scriveva dandomi preziosi consigli e che rappresentano ancora oggi, una permanente catechesi. Nel tempo scriveva di meno e rispondeva con fatica a questioni diciamo spinose: E’ del 18.IX.2013 la seguente risposta: “Pino. GRAZIE. Mi sgorga dal cuore come fiume impetuoso. Mi addolora non accontentarti: poco leggo e meno scrivo: Soffro in silenzio. Amo. Prego. Benedico. Ti abbraccio con tutti i tuoi (…).” L’ultima corrispondenza epistolare è del 14 Gennaio 2014: “Pino solo una riga: Grazie. Ti penso , amo e benedico, te ed i tuoi . Don Loris”. Cosa volere di più da un amico sincero? ( da notare che, per la prima volta ,in 28 anni , si firma don Loris!). Caro Ivan, figlio spirituale ed erede del cardinale Loris Francesco Capovilla: queste poche righe che hai sollecitato , scritte, peraltro ,di getto in un ambiente che ben conosci, dove il festoso urlare di figli ancora piccoli rende difficile la concentrazione, non possono né contenere l’eredità di un sacerdote come Monsignore, né essere esaustive del suo pensiero. So, tuttavia, e questo è stato l’unico elemento di umana consolazione dopo la dipartita del presule a noi ed a te tanto caro, come ti stai spendendo perché la sua eredità sopravviva alla inesorabile falcidie del tempo ed alle inevitabili difficoltà che vi si oppongono. Ti invito a continuare, a non scoraggiarti, ad avere sempre impressa la missione che hai ricevuto e che fu quella di Mons. Capovilla nei confronti di Papa Giovanni XXIII. Tutto passa, l’amore no, perché innestato in Dio, laddove ogni piccolo gesto di fraternità fatto qui in terra , ogni sofferenza , specie quella indotta da chi dovrebbe evitarcela , ha , nell’insondabile mistero dell’eterno, una eco vasta ed incancellabile. Con affetto ed amicizia
Pino Barbarossa
Cosenza 09.02.2019